La danza del girifalco
- Autore: Silvano Nuvolone
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Un romanzo storico, d’avventura e buoni sentimenti, che scorre come acqua fresca d’estate, fa bene alla mente, appaga e riposa. È La danza del girifalco, del farmacista, poeta e scrittore prolifico Silvano Nuvolone, nativo di Chivasso (Torino), residente a Cavagnolo. L’ha pubblicato nel 2015 la Tipografia Editrice Baima-Ronchetti (248 pagine), nella Biblioteca degli scrittori piemontesi.
Nel Medioevo, la caccia con i falconi era una delle più praticate in Europa dall’aristocrazia, tanto da meritare a metà del 1200 un trattato a firma dell’imperatore svevo in Italia Federico II: De arte venandi cum avibus, sull’arte di cacciare con gli uccelli.
Quelli da preda sono volatili nobili che possono avere soltanto padroni nobili, ricorda il falconiere Ubertus alla figlia Avila, alla vigilia dell’anno Mille. L’aquila è riservata all’imperatore, il girifalco al re, gli altri a cominciare dal falco pellegrino discendono la linea gerarchica e alle dame sono riservati sparvieri e smerigli. Tutti individuano dall’alto le prede e le artigliano dopo un volo avvolgente, concluso da un avventarsi autoritario per alcuni, secco e risoluto per altri.
Tuttora, nelle manifestazioni storiche in costume che si rinnovano in ogni parte d’Italia (Covid permettendo), il volo degli uccelli da preda è un’attrazione filologicamente rispettosa della lunga storia dei volatili da caccia. Addestratori scrupolosi, abbigliati con suggestivi farsetti e calzebrache, effettuano le dimostrazioni. Lanciano falchi e astori per l’eccitazione di spettatori grandi e piccoli.
Il romanzo è ambientato al tempo e nei luoghi del tentativo di Arduino di diventare re d’Italia, combattendo contro la Chiesa, i vescovi piemontesi e gli imperatori tedeschi del Sacro Romano Impero, Ottone III ed Enrico II. Accompagna i lettori nelle terre d’Ivrea, soprattutto ai primi del Mille, con qualche finestra su epoche successive.
2009, Abbazia di Fruttuaria, a San Benigno, nel Canavese. Una campagna di scavi archeologici, in un vecchio sepolcreto di monaci decorato con mosaici che rappresentano grifoni in volo, porta alla luce uno scheletro in una tomba singola, a differenza delle altre comuni. Si direbbe un uomo alto e robusto, inumato con una spada sul petto. Non un religioso, quindi. Sotto la ricca elsa, una scatolina d’argento custodisce un contenuto.
Fruttuaria, anno del Signore 1525. Le disposizioni dell’abate commendatario cardinale Ferrero-Fieschi sono perentorie: i resti dello scomunicato vanno esumati e dispersi in terra sconsacrata. Ogni insegna reale ed altro, sepolto col cadavere, vanno consegnati alla Chiesa. Gli umili frati incaricati del compito sono certi però che l’uomo abbia saputo riconciliarsi con la buona grazia di Dio, nel lungo soggiorno nell’abbazia. Decidono perciò di nascondere lo scheletro con cura e di riportare al cardinale la corona, l’anello e la spada. Non quella ritrovata sul corpo, ma un’arma meno importante, ottenuta da un nobile fidato della zona. Un re non può riposare senza la sua spada. E lasciano sul corpo la scatolina ritrovata in una mano scheletrita.
Secoli prima, un uomo medita sulla sua vita e sulle ferite impresse nell’animo. È stanco di combattere, di concepire e di subire tradimenti, di sguainare la spada, di fare la guerra, di essere un re.
Nel 999, il marchese Arduino di Ivrea ha legittimato la sua aspirazione a un potere crescente, sconfiggendo il vescovo di Vercelli. La determinazione, il carisma e la forza militare, di cui dispone contro le pure imponenti armate della Chiesa e dell’Impero, attirano dalla sua parte molti vassalli del Piemonte.
Come tanti altri, Isacco di Lauriana è legato ad Arduino. Ancora più di lui, aspira segretamente a impegnarsi al fianco del coraggioso marchese il giovane figlio Bennone, ardente come ogni ragazzo.
Nel loro territorio stanno crescendo due adolescenti, minori d’età dell’erede di Lauriana. Avila, figlia del falconiere di Isacco, è una ragazzina esile, rossa di capelli, che preferisce sembrare un paggio per dedicarsi all’arte della falconeria, nella quale si distingue per il dono innato di comunicare coi falchi, con la voce, il canto, si direbbe perfino con la mente.
Anche Egon è minuto fisicamente, i muscoli poco sviluppati sono inadatti alla vita da soldato che avrebbe voluto per lui il padre, un guerriero del signore di Cirisito, caduto in una scontro con la soldataglia del vescovo di Vercelli. Mamma Rufina, locandiera e brava cuoca nel loro piccolo ostello sulla strada per Casale, asseconda la vocazione del ragazzo a diventare un ottimo cuoco, il migliore, distinguendosi agli occhi e al gusto del marchese d’Ivrea, da loro rispettato e amato.
Li attendono tempi di guerre, di epidemie (la peste e pressoché endemica), di invasioni militari, di successi e di sconfitte. Ma anche di crescita, da singoli e di coppia.
La danza del girifalco
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