La filosofia di Fabrizio De André
- Autore: Simone Zacchini
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
La filosofia di Fabrizio De André del professor Simone Zacchini (il melangolo, 2022) è un libro dal titolo abbastanza semplice, ma ricco e denso di riferimenti, citazioni, cenni biografici, interpretazioni dal punto di vista filosofico, analisi non solo delle parole contenute nei testi delle canzoni di Fabrizio De André, ma anche dei pezzi musicali e delle parti corali, senza l’utilizzo di una terminologia tecnica. Il linguaggio adottato per la stesura del testo è reso semplice, accessibile a chiunque voglia conoscere meglio il senso delle parole che, come disse l’autore stesso in un’intervista, compongono il mosaico della sua filosofia, nella vita e nella sua arte.
Uno studio ampio e approfondito, al punto tale che scrivere un articolo o una recensione che possa rendere merito al valore e all’intensità di questo libro non solo è arduo, ma anche, per la modesta e quasi anonima autrice di questo pezzo, può essere una scelta di lettura critica e di valutazione persino ardita. Oserò provarci, comunque, per amore del cantautore, sardo, ligure, piemontese.
Cercherò di condividere quel che ho potuto cogliere e apprezzare maggiormente di questo testo agevole e complesso, come complessa è l’esplicazione dell’opera di cui si parla. Non facile la definizione, come genere letterario di La filosofia di Fabrizio De André. Un saggio, a tratti quasi scientifico, per il rigore metodologico dei dati forniti ai lettori. Una monografia, ma anche un piacevole bignami, intriso di poesia e di note musicali contenute nello stile, nell’andamento ritmico della scrittura, che valorizza la magnifica produzione dell’artista nativo di Pegli.
“De André porta in scena la filosofia come compagna della musica e delle parole”
è una delle prime affermazioni dell’autore, che giustificano il titolo, mantenendo lo stesso filo conduttore fino all’epilogo.
Gli album e i testi singoli delle canzoni che vengono presi in esame non seguono un ordine cronologico e neppure, scrive l’autore, di un’evoluzione del pensiero deandreiano. Non si può dire, comunque, che la sequenza sia casuale, che segua un ordine sparso. Si potrebbe pensare che sia come un lungo viaggio, un’attenta esplorazione che parte dal mare di Pegli, fa un lungo giro e dal mare ritorna, approdando con una nave carica di tesori, fatti di storie, di nuove consapevolezze.
I temi fondamentali che l’autore, filosofo, musicologo e docente presso l’università di Siena, prende in esame ripetutamente in queste pagine sono quelli più ricorrenti anche nei testi delle canzoni di De André: la vita e la morte, la pace e la guerra, l’amore e il dolore, lo spazio e il tempo. E soprattutto la libertà, come valore inestimabile contrastato dal potere. Libertà che ha caratterizzato non solo l’opera, ma l’intera vita dell’uomo De André, al punto da dichiararsi egli stesso un anarchico. Anarchia che il professor Zacchini, sulla base del pensiero riflesso nell’arte del cantautore, definisce “anarchismo magico”, per i suoi contenuti simbolici, fiabeschi, magici e del sogno, che non rientrano nella concezione classica dell’anarchia originata dal pensiero illuminista. De André, sostiene il professore, riesce a trasformare gli aspetti peggiori della realtà in una fiaba; si interessa di astrologia e canta storie d’amore impossibili come un bel sogno che incanta. Uno dei tanti esempi è la moglie di Anselmo, in Dolcenera, che attende il suo amante, nell’ora di un diluvio, mentre l’acqua cade “come spilli fitti, dal cielo e dai soffitti”.
Libertà è un tema che si ripete, come bene assoluto, che può spingere fino al suicidio, non come atto di vigliaccheria, ma come atto estremo di evasione e di liberazione dall’oppressione del potere e della violenza borghese. Concetto espresso in modo esplicito dal cantautore, nella canzone La ballata di Michè.
“Lo avevan perciò condannato/vent’anni in prigione a marcir/Però adesso che lui si è impiccato/la porta gli devono aprir.”
L’introduzione di La filosofia di Fabrizio De André ha per titolo “L’ultimo greco”. Più volte il grande protagonista di questo libro viene chiamato aedo, nel senso che può essere paragonato a un antico cantastorie come uno tra i più grandi classici della letteratura: Omero. Un moderno cantastorie con la chitarra in mano che ha saputo raccontare storie memorabili, in modo poetico e musicale. Un lungo girovagare per terra e per mare, la narrazione dell’umanità che ha incontrato e il grande messaggio contenuto nella sua opera, è doveroso aggiungere, che ha lasciato ai posteri.
Per comprendere a fondo il pensiero contenuto nella discografia di De André, il professor Zacchini dedica alcune pagine a spiegare l’influenza esercitata dal padre, partendo dalla descrizione dell’ambiente intellettuale di Torino, negli anni trenta, periodo in cui Giuseppe De André frequentava l’università. Un ambiente con un fermento culturale molto forte, per la presenza o l’influenza di personalità come Benedetto Croce, Vincenzo Monti, Nietzsche e tanti altri autorevoli autori che diventarono punto di riferimento culturale importante per molti giovani studenti di quegli anni. Un contesto culturale che Giuseppe De André ha portato a casa: l’esperienza maturata in quel periodo, le idee che ha assimilato e lo studio praticato con grande impegno, laureandosi con una tesi su La filosofia della Storia di Benedetto Croce. Il clima che, attraverso il padre, Fabrizio ha respirato, in cui si è formato e ha posto come fondamento della sua opera. Genitore e figlio si sono ritrovati, molto spesso, a discutere, a scontrarsi, ma anche a condividere temi e contenuti della filosofia crociana.
Natura e guerra sono tra i primi temi affrontati in questo libro, citando e analizzando uno dei testi più noti e più emblematici di De André: La guerra di Piero, attuale più che mai, in questo nostro tempo inumano, di spietati conflitti armati, sempre più devastanti.
“Più che una canzone simbolo di antimilitarismo, La guerra di Piero è un inno alla vita di natura, è un’opposizione netta alla violenza, al potere e alla guerra vista sempre come ‘contro natura’”
scrive il professor Zacchini. E spiega come il rapporto di De André con la natura sia iniziato molto presto. Aveva appena un anno quando scoppiò la guerra e dovettero lasciare Pegli e la Liguria per trasferirsi in campagna, dai nonni che vivevano in Piemonte.
La sua vita in campagna dura cinque anni, dal 1941 alla fine della guerra, in un mondo fatto di campi, boschi, animali da fattoria e contadini, nella cascina a Revignano, tra Asti e Alba. E una compagna di giochi, Nina, futura protagonista di qualche brano del suo repertorio, che non può essere ignorata. Anni che plasmarono il suo animo, si rifletteranno in gran parte delle sue canzoni e lo condurranno a vivere in Sardegna a L’Agnata, in Gallura.
All’ambiente naturale, all’aria aperta, dei campi e dei boschi, si contrappone quello chiuso della caserma, del carcere, della cella, ma anche dell’ambiente urbano borghese e opprimente, con le sue banche, l’interesse e il potere economico, dove l’uomo vale quanto il suo denaro. Un ambiente e uno stato sociale che appartengono al cantautore sin dalla nascita, ma che ha sempre rifiutato, da ribelle, spirito libero, anarchico e sostenitore, con le parole e con i fatti, degli ultimi, degli oppressi, degli emarginati, con uno spirito laico che non lo spinsero mai a recarsi tra i poveri per fare la carità. Egli da cantautore semplicemente coglieva ed esaltava le loro virtù che altri benpensanti condannavano, elevandone moralmente la loro condizione con la sua arte. Egli, nella sua religiosità laica, calava spesso la trascendenza nell’umanità e, spiega il professor Zacchini, attribuisce al vecchio, protagonista del brano Il pescatore, l’immagine di un Gesù Cristo che accoglie e non giudica, persino un giovane assassino affamato che gli chiede pane e vino.
“Non si guardò neppure intorno/ ma versò il vino e spezzò il pane/ per chi diceva ho sete ho fame”
uno dei versi indimenticabili, citati in questo testo, per spiegare il senso spirituale e carnale espresso da Fabrizio De André.
Sul tema del potere le considerazioni che si leggono sono tante. Una delle analisi più interessanti e ironiche è quella su Carlo Martello, un testo dissacrante di chi, nonostante la gloria e l’importanza del suo ruolo, è comunque un essere umano con le sue debolezze, che può essere umiliato da una semplice fanciulla con un duplice aspetto, dall’apparenza ambigua. Il professor Zacchini dà una lettura difficile da cogliere, ascoltando le parole della canzone, se non si ha la mente allenata all’interpretazione dei simboli. Nella sua conclusione egli sostiene che la fanciulla con l’aspetto acquatico della ninfa che inizialmente si rifiuta al re, può concedersi solo all’uomo disarmato e senza scudo. Nel momento in cui il sovrano si riveste con la sua armatura, la fanciulla cambia tono di voce e atteggiamento, trattandolo come un poveruomo qualsiasi, pur chiamandolo sire.
Uno degli esempi più chiari in cui il tema dell’amore, della passione e della libertà e della violenza si intrecciano, è Bocca di rosa. Una donna che rappresenta tutte le donne, scrive l’autore, o forse, potrebbe pensare chiunque conosca il testo, rappresenta tutte le donne libere dal condizionamento del giudizio altrui, o la donna ideale, per chi ama la libertà senza vincoli, in un rapporto tra uomo e donna senza alcun possesso. O magari – azzardando un’ipotesi non scritta nel libro, potrebbe essere solo una proiezione dello spirito libero insito nel cantautore stesso.
Altri elementi molto presenti nei testi di De André, di cui il professor Zacchini ci fornisce nuove chiavi di lettura, sono il tempo e lo spazio. Il tempo riferito al giorno e alla notte, ma soprattutto alle stagioni; in modo particolare alla primavera e all’inverno. La primavera intesa quasi sempre come vita e l’inverno nel senso della morte. La primavera, nelle canzoni di De André – ci fa notare il professore – fiorisce come il sorriso di una donna che scalda la vita. E cita, a mo’ di esempio: La canzone di Marinella; Valzer per un amore; La canzone dell’amore perduto.
E si potrebbe continuare con
“Ninetta bella, dritto all’inferno, avrei preferito andarci in inverno”
dal testo di La guerra di Piero, più volte citata in questo libro. Canzone in cui viene nominata anche la primavera.
“Ed arrivasti a varcar la frontiera in un bel giorno di primavera”.
Primavera inclusa anche un altro testo indimenticabile, già ricordato:
“Addio Bocca di rosa, con te ne se parte la primavera”.
La deduzione conclusiva sul tempo che il professor Zacchini riporta nel suo libro è: solo il tempo presente è quello che conta, quello passato è morto e non bisogna avere fretta che il tempo passi. E cita testualmente:
“La fretta di vivere – ci ricorda De André – è solo ansia di morire più in fretta”.
Un discorso a parte meriterebbero tutte le considerazioni sulle parti musicali interpretate, con competenza e grande sensibilità, dal musicologo autore di questo libro. Ne citerò soltanto due per motivi di spazio, anche se andrebbero sottolineate tutte, dalla prima all’ultima.
“È già una musica parlante, non ci sarebbe bisogno neppure di parole; eppure quando arriva la voce di Fabrizio, tutta la scena acquista una dimensione più alta, sferica, divina, soprannaturale.”(Sidun)
“L’anima è musica, Solo le note leggere di questa fisarmonica ci dicono quanta luce e quanta estensione ha e può avere la vita.” (La ballata del Michè)
Scrive infine il professor Zacchini nelle sue conclusioni:
“In silenzio, così come è venuto, se ne va per le sue creuze marine, lasciando a noi il compito di decifrare i suoi messaggi, il suo canto, la sua opera”.
Al professor Zacchini questo delicato compito è riuscito egregiamente; non si può far altro che ringraziarlo. Leggendo e rileggendo questo libro, scritto in modo sublime, l’amore per De André si riaccende, nell’ascolto delle sue parole e della sua musica, stimolati dal saggio. Le corde della sua chitarra fanno vibrare ancora le corde dell’anima.
La filosofia di Fabrizio de André
Amazon.it: 13,30 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Un libro perfetto per...
A tutti quelli che leggendolo, sarebbero lieti di poter capire meglio il senso, talvolta un po’ ermetico, di certe canzoni del nostro Faber.
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La filosofia di Fabrizio De André
Lascia il tuo commento