La macchia umana
- Autore: Philip Roth
- Categoria: Narrativa Straniera
“ … l’estate di un’orgia colossale di bacchettoneria, un’orgia di purezza nella quale al terrorismo … subentrò, come dire, il pompinismo, e un maschio e giovanile presidente di mezza età e un’impiegata ventunenne impulsiva e innamorata, comportandosi nell’Ufficio Ovale come due adolescenti in un parcheggio, ravvivarono la più antica passione collettiva americana, storicamente forse il suo piacere più sleale e sovversivo: l’estasi dell’ipocrisia.” (Pag. 4)
Ecco la partenza al fulmicotone dello scrittore americano Philip Roth ne La macchia umana (Einaudi, 2003).
La sua furia è immediata e la sua capacità di delineare e condannare l’ipocrisia, il moralismo, il politicamente corretto, i talebani della politica è fulminante.
Non ci sono scappatoie: tutti i bugiardi, perbenisti, farisei subiscono una tremenda vendetta, essere condannati da uno dei principali scrittori del nostro tempo.
Siamo della rovente estate del 1998. L’America è falsamente sconvolta dall’ira dei puritani per la seducente attività sessuale del Presidente Clinton con la famigerata Monica Lewinsky.
Tutti, giornalisti, commentatori, educatori si scagliano - come la timorata verginella di Susanna e i Vecchioni - contro un uomo con il desiderio di soddisfare un normale impulso di concedersi corporalmente con una consapevole donna.
Il mestiere del Moralista è difficile. Il Moralista ignora il peccato, lui è l’essere puro, incontaminato, neppure una multa per divieto di sosta.
Il Moralista americano sguazza nello stagno della vita e della politica statunitense.
Tutti sono diventati teocratici, il peccato prevale sul perdono, sull’ardore, sulla passione.
Peggio degli Stati Uniti forse solo l’Italia, che ha vissuto in tempi recentissimi il turpe voyarismo di fondamentalisti furiosi. Giornalisti, intellettuali tuttologi e semprepresenti hanno passato onanistiche notti, cancellando ogni forma di pacifica convivenza civile e contaminando ogni ambiente.
Ma torniamo ai nostri americani del 1998. Essi si trasformarono in talebani teocratici e si gettarono in una denigratoria campagna moralista, degna del tempo medievale.
La macchia umana, è un’accusa partigiana, contro la falsità umana. Inizia con durezza, e continua ambientando il racconto in una cittadina del New England – Athena - nello stesso anno 1998.
Athena è sconvolta per un gesto considerato perverso dai filistei.
Personaggio principale è il professore Coleman Silk, il quale ha insegnato materie classiche nell’università cittadina. Colto, libero, vedovo, dimessosi dall’università per il mendace addebito di razzismo, all’età di 71 anni ha un’intensa, passionale e vorace relazione sessuale con Faunia, una donna di 34 anni, dal trascorso burrascoso, carico di dolori e violenze, lei si definisce “Sono solo analfabeta”, ma sarà qualcosa di più.
“Grazie al Viagra sono arrivato a capire le trasformazioni amorose di Zeus. Ecco come avrebbero dovuto chiamarlo, il Viagra. Avrebbero dovuto chiamarlo Zeus” (Pag. 36)
Questo rapporto cosciente, pieno di felicità, di sessualità appagante può solo creare invidie, gelosie, rabbia delle persone represse, con un’incapacità umana a vivere.
Nasce il primo forte sentimento, descritto con pignoleria da Roth: la vendetta e l’invidia, le due debolezze portatrici di distruzione finale.
Il libro è pregno di passione e manifestazioni umane.
Coleman Silk è arricchito psicologicamente con tratteggi unici e ogni spigolosità del carattere non è tenuta nascosta, anzi accentuata e mostrata nel suo animo peggiore.
Mai esprimendo un giudizio di merito, Roth si astiene da compiere le considerazioni da lui fustigate.
Prendiamo Farley, l’ex marito di Faunia. Ha combattuto in Vietnam, provocando in lui un delirio umano e psicologico. È costretto a trasportare un dolore immaginabile e soprattutto una rabbia contro la persona, nella cui mente, crede colpevole del suo fallimento emotivo e familiare.
Non è una soggetto facile. Roth non gli concede mai un dubbio, un gesto di pietà; lo porta in pellegrinaggio a Washington così com’è.
Coleman, Faunia, Farley hanno tutti un passato, un’esistenza anteriore, raccontata da Roth staccando letteralmente il filo conduttore della storia e riportandoci con seducenti flash back nel passato di ognuno. Noi conosciamo tutto, fra loro tutto è sconosciuto. I segreti hanno avvolto il loro trascorso e non possono sparire, anzi in alcuni casi ritornano con un contrappeso diabolico.
L’angoscia crescente dello scrittore è il segreto.
L’inquietudine di un segreto nascosto e impenetrabile è la cifra stilistica dello sviluppo umano, psicologico di tanti personaggi imperfetti, vittime dell’ipocrisia moralista.
Gli avvenimenti della città del New England sono collegati alle altrettanto pruriginose suzioni accadute nella stessa sala ovale, dove i precedenti Presidenti scatenavano golpe o guerre.
In entrambi gli ambienti la reazione è la stessa; il bieco moralismo vince, il cieco bigottismo di cui sono colpiti soprattutto i laici – ignoranti del perdono e del peccato – scagliano le pietre.
Philip Roth non ha pietà per il professore Coleman, condannandolo ad un contrappasso letterario, sintesi del pensiero dello scrittore.
Il colto e pungente insegnante nasconde un aspetto del suo passato.
Pieno di sé, presuntuoso al limite dell’ambizione sfrenata, ha compiuto un gesto tremendo nella sua vita, una viltà, un comportamento scorretto, spietato nei confronti della sua famiglia e dell’adorata madre. La madre non gli porterà rancore, ma è capace di pronunciare implacabilmente la descrizione del figlio:
“Sei bianco come la neve e ragioni come uno schiavo.” (Pag. 152)
Il contrappasso sarà l’asprezza umana riversata dai suoi figli, soprattutto da Mark: gli sfugge, lo rifugge, lo scansa e soprattutto lo accusa inflessibilmente:
“Tu hai ucciso la mamma. Come uccidi ogni cosa! Perché devi avere sempre ragione! Poiché non vuoi scusarti, poiché ogni volta hai ragione al cento per cento, adesso la mamma è morta!” (Pag. 68)
Pure i figli non sono esonerati e si allineeranno alle persone accusate dal padre.
Il loro atteggiamento ipocrita arriva senza remissione.
Cercheranno una redenzione umana per il padre, ma a quale fine?
Per giustificare i puritani o per salvare la loro coscienza?
Argomenti delicati possono riuscire solo se narrati da persone d’indubbia capacità letteraria, perché con la loro arte, riescono a esprimere un disagio attraverso il lessico.
Come sempre la scrittura di Roth è briosa, spumeggiante, piena di parole, aggettivi, avverbi e non si risparmia mai.
Le sue frasi sono lunghe, intense, capaci di un fervore vero, lontano dal moralismo da lui condannato.
La storia è raccontata dallo scrittore Nathan Zuckerman, amico di Coleman.
Un alter ego di Roth?
Potrebbe essere, anche perché il narratore Nathan è punzecchiato con sottile ironia.
Il ballo fra Nathan e il professore Coleman – a pagina 29 - è degno di una penna sagace.
Questa danza surreale fra due uomini anziani e malati fuoriescono dal filo logico, e consente ai due di avviare la genesi di una spregiudicata amicizia.
Nonostante lo scrittore si opponga con lo scudo del linguaggio, la vittoria finale può appartenere solo all’ipocrisia.
Essa vince sempre e ovunque, non c’è possibilità di affrontarla, salvo in modo letterario per rimarcare la sua delimitazione umana.
Roth utilizza la retorica dell’ossimoro, come nella frase riportata all’inizio, dove la parola ‘orgia’ è unita prima a ‘bacchettoneria’ e poi a ‘purezza’.
Perché nel sesso c’è purezza.
Nello stesso tempo ci narcotizza con neologismi avvincenti come ‘pompineria’ e ‘bacchettoneria’.
Arricchisce il testo di duri collegamenti letterari e di pensiero. Con linguaggio iperbolico scomoda la fatwa di Khomeini nei confronti dello scrittore Salman Rushdie e la paragona ai malvagi pensieri dei giornalisti americani.
Il fondamentalismo iraniano degli ayatollah ha la stessa matrice del moralismo, l’arte di Roth è scriverlo in modo efficace:
“Sognai io stesso un gigantesco striscione, dadaisticamente teso come uno degli involucri di Cristo da un capo all’altro della Casa Bianca, con la scritta QUI ABITA UN ESSERE UMANO.” (Pag. 5)
Cristo come il Presidente degli Stati Uniti, entrambi vittime dell’ipocrisia.
Il massimalismo estremista del linguaggio di Roth non lascia spazio a pause.
La scrittura si accanisce con un’abbondanza di termini, d’elenchi, di polisindeto senza mai fermarsi; l’incontinenza è continua: abbiamo quattro pagine per il latte e altre per descrivere la stalla in cui lavora Faunia.
Combatte spietatamente contro il politicamente corretto - affirmative action -, sparando con retorica:
“… anche divertirsi, visto il piacere che provava a essere anticonformisticamente conformista.” (Pag. 121)
Roth ha un personaggio utilizzato per denunciare il falso comportamento: è l’invidiosa Delphine.
Insegnante nella stessa università, sarà lei a provocare la sciagura e lo farà per l’invidia e per essere incapace d’amare, in quanto sempre prigioniera dei luoghi comuni conformistici più classici del tempo.
Sarà lei a riportare e cavalcare le assurde accuse di un’ottusa studentessa: trovava le opere di Euripide Ippolito e l’Alcesti “degradanti per le donne.”
Roth con lei è spietato, disumano; castiga il suo snobismo con ferocia:
“Anche nel tempo libero, quando sono soli, pensano esclusivamente a come Hegel è stato accolto dalla società intellettuale francese del ventesimo secolo. L’intellettuale non deve essere frivolo. La vita deve essere dedicata solo al pensiero. Che il lavaggio del cervello li abbia fatti diventare aggressivamente marxisti o aggressivamente antimarxisti, hanno un orrore congenito per ogni cosa che sia americana.” (Pag. 203)
Ma non si ferma qui, gli da il colpo di grazia con una sentenza definitiva:
“Gli studenti … Non hanno mai visto neanche un film di Kurosawa: sono piuttosto ignoranti. Quando lei aveva la loro età, aveva visto tutti i Kurosawa, tutti i Tarkovslij, tutti i Fellini, tutti gli Antonioni, tutti i Fassbinder, tutti i Wertmüller, tutti i Satyajit Ray, tutti i René Claire, tutti i Wim Wenders, tutti i Truffaut, i Godard, i Chabrol, i Resnais, i Rohmer, i Renoir, mentre l’unica cosa che hanno visti questi ragazzi è Guerre stellari." (Pag. 204)
La conclusione è un colpo al cuore, con due orazioni funebri.
L’amica di Faunia – una contadina – la ricorda esaltandola in uno spazio panteistico senza tempo,
neutro rispetto al dibattito acceso dal libro
Con il discorso del collega di Coleman, Herbert Keble il moralismo esegue una giravolta carpiata con doppio avvitamento su se stessa, per riapparire con un viso ingenuo a giustificare, con malizia e senza crederci, l’errore fatale.
Oramai il fallace pensiero pronunciato rimane:
“Anche se dimostri che una cosa è una bugia, in un posto come Athena, una volta detta, rimane.” (Pag. 317)
E con la sagace dote letteraria Roth collega i peccati dell’uomo:
“La semplice accusa è già una prova. Ascoltarla significa crederci. Non occorrono moventi per l’autore, né una logica o una cosneguenzialità. Basta l’etichetta. L’etichetta è il movente. L’etichetta è la prova. L’etichetta è la logica.
…
Il Diavolo della Piccola Città: i pettegolezzi, le gelosie, l’acrimonia, la noia, le bugie.” (Pag. 314)
Cosa prevale?
La bugia detta per noia?
Il pettegolezzo riferito per gelosia?
Domina per Roth l’odio per un professore, colpevole nel suo segreto; come deplora l’invidia di Delphine, non giustificandola per il segreto celato dentro il vuoto cuore della donna.
Il mese della storia dei neri – una quota rosa dell’ipocrisia – è fustigata senza pietà, trovando forse il motivo di tanto odio:
“Ai tempi dei miei genitori, e anche ai miei tempi e ai suoi, le carenze erano dell’individuo. Oggi sono della disciplina. Leggere i classici è troppo difficile, dunque la colpa è dei classici. Oggi lo studente sbandiera la sua incapacità come se fosse un privilegio. Non riesco a impararlo, dunque dev’esserci qualcosa di sbagliato. E qualcosa di particolarmente sbagliato deve avere l’insegnante cattivo che pretende d’insegnarlo.” (Pag. 355)
Il motivo del rancore, dell’astio nei confronti di Coleman è perché pretende di insegnare i classici, così come sono?
Immancabilmente i libri di Roth sono un passaggio nella storia americana.
Grazie ai flash back, il protagonista si ripete in tutta l’epopea.
La storia è intrinseca agli avvenimenti di oggi. I suoi personaggi si comportano in quel modo perché hanno un passato: proprio, e anche collettivo.
Per lo scrittore, l’America è pur sempre una grande nazione dove nascere e vivere, senza di essa non esisterebbero il professor Coleman e la sua giovane amante, come non esisterebbe il putrido puritanesimo che li ucciderà.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La macchia umana
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