La maledizione dell’artista
- Autore: Carla Menon
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
È un romanzo corale, tanti i personaggi, principali e non. È un romanzo plurale, visto che si conta più di un co-protagonista. È anche un romanzo difficile da classificare secondo un genere: giallo, thriller storico, trama a contenuto psicologico? È “La maledizione dell’artista”, pubblicato da Mazzanti Libri Me Publisher, nel marzo 2016 (210 pagine 18 euro, a firma di Carla Menon. Veneta, insegna lettere nel liceo scientifico di San Donà di Piave, dov’è nata. È appassionata di storia e d’arte, innamorata di un pittore straordinario sotto l’aspetto artistico, ma uomo dal carattere impossibile, pieno di contraddizioni: Michelangelo Merisi (1571-1610). Non si conosce molto delle sue origini, se non la località nel milanese indicata dal suo soprannome: Caravaggio.
La prima domanda è se il primattore del romanzo non sia proprio il talento lombardo, cresciuto artisticamente a Roma a fine 1500. Se non lui, lo sono certamente le sue opere, esaminate minutamente da Carla Menon, quasi intimamente, nel corso della narrazione, che in parte è anche pretesto per illustrare diversi capolavori caravaggeschi, a cominciare da L’incredulità di San Tommaso. Il dipinto, un olio su tela di un realismo impressionante, realizzato nei primi mesi del 1600 e conservato nella Bildergalerie di Potsdam, viene scandagliato alla ricerca dei vari significati. Quelli che esprime (credere-dubitare) e quelli che intende trasmettere, ma anche gli altri contenuti che Carla Menon gli attribuisce (dubbio-verità-fede-conferma) e gli fa attribuire.
Da chi? Soprattutto dagli altri due primattori del romanzo, il professore e storico dell’arte Alfredo Storani e Rodolfo Boschetti, suo allievo in II C nel liceo classico Virgilio di Mantova.
Il loro primo incontro avviene nel 1960. Il docente avvia la lezione in classe proprio su quella tela del Caravaggio, di cui sembra letteralmente invasato. Cita il Vangelo di Giovanni (“Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”), prima di chiedere agli studenti di esprimersi sul capolavoro. Nessuna risposta, com’è facile immaginare. Sbraita «siete tabula rasa» e cerca di coinvolgere il giovane Rodolfo – singolare alter ego narrativo dell’autrice - che in effetti avrebbe qualcosa da dire, ma non vuole fare la parte del secchione davanti ai compagni di classe, sebbene le parole del Vangelo pronunciate dal professore li abbiano scossi tutti, se non altro per il tono veemente con cui sono state pronunciate.
Ecco un aspetto del carattere di questo ragazzo, nato nel 1944, in piena seconda guerra e nazifascismo nel Mantovano. Anche Storani è nato durante una guerra mondiale, nel 1915.
Il giovane Boschetti studia medicina, diventa un ottimo oculista, segue un corso di specializzazione in Germania e questo allarga gli scenari del romanzo, che si sposta agilmente nel tempo, specialmente tra il 1943-44 e i decenni successivi, oltre che nello spazio, tra Mantova, Roma e la Germania di ieri, dell’altro ieri e di più di settant’anni fa.
Accanto ai protagonisti e a Caravaggio, sono tanti i comprimari, alcuni irresistibili nella loro genuinità, come il fruttarolo Mario, un popolano romano tutto da leggere. Belle anche le figure femminili, la mamma di Rodolfo e la strepitosa Rosetta, la levatrice. In tempi di femminicidio e di stolkeraggio ai danni delle donne, è liberatorio il suo comportamento negli anni ’30, alla notizia che il marito - un ubriacone manesco che la picchiava selvaggiamente - era stato ridotto in fin di vita da un tale, in un litigio in osteria. Si veste di nero, come se dovesse partecipare a una veglia funebre. Raggiunge il paese in calesse, entra in osteria e assesta due sonori ceffoni al coniuge steso a terra, per accertarsi che fosse spirato. Poi si rivolge all’oste e gli dice di chiamare gli addetti, per dare sepoltura al defunto, ch’è tutto quello che merita.
Altra figura di rilevo è lo zio Armando, recluso dai nazifascisti a Buchenwald, dove conosce la figlia del re Vittorio Emanuele III, Mafalda, deportata sua volta e morta nel lager, l’unica Savoia degna del sacrificio degli italiani in quella guerra dolorosa.
Resta sempre il dubbio sul genere del libro. D’arte, storia o psicologia? Tutte e tre insieme, a leggere una delle pagine in cui la professoressa Carla Menon presenta il dipinto di Merisi:
“Ciò che invece va inteso è il valore del termine incredulità. Il divario sta proprio in quell’in, che separa l’uomo che abbraccia il mistero della morte e resurrezione di Cristo e l’uomo, invece, che ha bisogno continuamente di certezze, di toccare con mano. Tommaso affonda il dito nella ferita ancora aperta ma è la mano di Cristo che lo guida”.
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Il pretesto è uno dei dipinti che amo più al mondo, davanti al quale, quando fu in mostra a Roma, a Palazzo Ruspoli, mi commossi. La mano del Cristo guida o ferma quella di Tommaso? Forse non è importante saperlo, ognuno può interpretare l’immagine come vuole. Certo è che Tommaso si distingue dagli altri per la sua umanità, e di fronte a quanto appare ai suoi occhi non crede subito, ma verifica, attento e pensieroso. Un libro originale, poliedrico, di ampio respiro e fonte di molte necessarie riflessione, grazie all’autrice, che essendo una insegnante formerà i cittadini del futuro, che non si fermeranno alle certezze, ma nutriranno sacri dubbi