La Resistenza perfetta
- Autore: Giovanni De Luna
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2015
“Ho il cuore in tasca per quelli della montagna”.
Questi erano i pensieri che Leletta d’Isola (1926-1993) il 30 settembre del 1943 affidava alle pagine del suo Diario, fedele cronaca di giorni di totale confusione nella quale era piombato il nostro Paese dopo l’armistizio dell’8 settembre.
“Il nucleo del chaos è l’Italia”.
La diciassettenne figlia del barone Vittorio Oreglia d’Isola e della contessa Caterina Malingri di Bagnolo, “la Barona”, entrambi di antica nobiltà piemontese, viveva insieme ai genitori, al fratello Aimaro e alla zia Barbara, “l’infermiera”, a Villar, una frazione di Bagnolo Piemonte.
A mezza via tra le città di Saluzzo e Pinerolo e le pendici del Montoso, c’è un castello risalente all’anno Mille circondato da boschi, vigne e mulini. Ai piedi della sua altura, si staglia il profilo del Palas, una grande casa patrizia, immerso in un parco adagiato tra alberi secolari. Quel castello e quella villa sono da sempre residenza dei feudatari locali, i conti Malingri. In quelle dimore, tra il 1943 e il 1945 oltre a ospiti, parenti e domestici, visse la famiglia d’Isola sfollata da Torino in seguito ai bombardamenti aerei piovuti sulla capitale piemontese.
La Resistenza era arrivata presto in quelle valli, perché erano affluiti dalla Francia soldati italiani sbandati, considerati renitenti per non aver risposto alla chiamata alle armi nell’esercito della repubblica di Salò. Nicola Barbato, comandante delle Brigate Garibaldi, era il nome di battaglia di Pompeo Colajanni, classe 1906, avvocato di Caltanissetta, ufficiale della Scuola di Cavalleria di Pinerolo. Colajanni, colto, affascinante, trascinatore, “sguardo fisso verso l’alto, baffi virili, posa marziale”, al momento dell’armistizio era distaccato a Cavour.
La sera del 10 settembre, dopo una breve riunione nella piazza del paese, i soldati, gli ufficiali e i sottufficiali capitanati dall’ufficiale, raggiunsero Barge, in montagna, non per scappare ma per combattere e vincere. Questo, Leletta e la sua famiglia, aristocratici di sicura fede monarchica, l’avevano compreso subito, perché vedevano nei partigiani uomini che si battevano in nome dei loro stessi valori. La villa patrizia di Villar ospitò anche i partigiani comunisti di Barbato impegnati per venti mesi nella lotta partigiana contro i tedeschi. La dimora dei Malingri cambiò pelle: la roccaforte cattolica che per secoli aveva combattuto l’eresia delle vicine valli valdesi “aprì senza riserve le sue porte agli eretici del Novecento”. Nella villa si decise di impugnare le armi discutendo con passione, avendo nel cuore la speranza di costruire un’Italia migliore e la profonda sensazione di vivere una stagione decisiva. In quei fatidici giorni, preti e partigiani, monarchici e comunisti, soldati del Sud e ufficiali dell’aristocrazia sabauda, seppero mettere da parte anacronistiche barriere ideologiche e sociali per un fine ultimo e unico. Il male stava nel passato, nei fascisti e nei nazisti che si ostinavano a perpetuarlo, il bene “stava nel futuro che tutti insieme, per una volta, compiutamente italiani, si voleva costruire”. Era la “Resistenza perfetta”, emersa dopo minuziose ricerche d’archivio da documenti e scritti come quello di Leletta, la quale “affidò alla freschezza giovanile del suo sguardo una delle testimonianze più straordinarie scritte in quel periodo”.
Nel settantesimo anniversario della Liberazione, lo storico Giovanni De Luna, nel saggio La Resistenza perfetta, dedicato “A Giorgio Agosti, Alberto Bianco e Nuto Revelli che mi hanno fatto conoscere la Resistenza perfetta”, ricostruisce un’epoca sottoposta a troppe revisioni storiche. Per fare ciò l’autore si affida alle riflessioni di Leletta che assumono lo spessore di un giudizio storico “neppure un principe di casa Savoia ha avuto il coraggio di venire fra i partigiani”. La giovane nota anche con amarezza l’attendismo del suo ambiente “purtroppo domani chi ha agito avrà diritto di parlare – e solo chi avrà agito”. Cattolica fervente, Leletta dopo la fine della guerra aveva tentato di entrare in un monastero domenicano ma aveva dovuto rinunciare per motivi di salute, terziaria domenicana, seppe coniugare l’impegno civile con il fervore religioso.
“Nel 2012 si è aperta la causa per la sua beatificazione”.
Testimone attenta di quel cortile di quella villa patrizia, “enclave partigiana” dove ciascuno, fosse stato fascista, partigiano, prete, eroe, traditore, bandito, studente, professore, contadino, aveva lasciato una traccia. E “di ognuno Leletta catturò un particolare, un elemento che le sue pagine restituiscono oggi allo storico che studia quel periodo”.
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