La sartoria di Addis Abeba
- Autore: Massimo Venturiello
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2021
La copertina La sartoria di Addis Abeba (Ensemble, 2021), memoir dell’attore, regista e scrittore Massimo Venturiello mi ha tratto in inganno: credevo di leggere una storia del nostro passato coloniale, degli italiani che avevano accettato di partire per l’Africa con il miraggio di grandi guadagni, come per avvenne al padre dell’autore. In realtà la sartoria che l’uomo aveva aperto, ”Sartoria civile e militare”, dove si cucivano abiti su misura, durò poco e il resto della vita della famiglia Venturiello, originaria di Roccadaspide, nel Cilento, si svolse a Roma nel quartiere Prati.
Infatti dopo i primi anni di scuola in paese, dove il padre faceva la guardia carceraria, il futuro regista e attore di teatro racconta la sua vita, la sua vocazione, le scelte professionali, i dubbi, l’amicizia, l’amore, la carriera, la moglie Luisa, il figlio Tommaso, le donne della sua vita, Francesca, Stella, con una grande e profonda sincerità, mettendo a nudo la sua personalità a volte contraddittoria, alla perenne ricerca di essere amato.
A partire dalla madre, donna speciale, efficace consigliera, che gli darà suggerimenti preziosi per affrontare l’esistenza e la vera grande passione scoperta e inseguita con perseveranza: il teatro. Entrare nei personaggi, lasciarsi coinvolgere dalla loro personalità, identificarsi con gli spettatori che guardano, in molte delle pagine di questo romanzo biografico l’autore riesce a mettersi a nudo, raccontando le proprie difficoltà, gli errori, l’insofferenza per un matrimonio finito troppo presto, la scoperta di un’altra donna, Francesca, con la quale intreccerà una storia lunga, saltuaria ma profondamente vera. E infine la scoperta di Stella, la cantante dalla voce incantevole, brava e affascinante con cui è tuttora legato da un affetto profondo e che riesce a essere la sua ragione di vita.
L’autore, nato nel 1957, ripercorre attraverso la sua vicenda personale pezzi di storia collettiva che hanno interessato il nostro paese. Il passaggio dalla campagna alla città, l’intermezzo coloniale pieno di speranze e cocenti delusioni, il boom economico, la scelta di iscriversi all’Accademia d’arte drammatica per divenire attore, le tournée in giro per l’Italia, i viaggi all’estero, un film girato in Russia, molto tabacco, molte donne di passaggio, insomma un tipico prodotto della società italiana tra gli anni settanta e ottanta…
Nelle ultime pagine del libro c’è la descrizione di una festa in campagna, con tutta la famiglia, gli amici del paese, la musica, mentre le donne, secondo tradizione, confezionano decine di bottiglie di pomodoro: tradizione che credo esista ormai solo in piccoli borghi fedeli ad abitudini antiche e che riconcilia lo scrittore con le sue origini e il suo passato un po’ turbolento, e con tutti noi che abbiamo vissuto gli orribili mesi della pandemia, da cui sembra non si riesca a uscire.
Nelle pagine conclusive della storia la pandemia si pone come tema doloroso: al centro della sua riflessione il figlio Tommaso, volontario in ospedale, che lo riempie di orgoglio e di angoscia, insieme a un bambino che scrive sul muro lo slogan che si è rivelato un po’ retorico, “Andrà tutto bene”: ma lo scrittore, pensando che è solo un bambino, accetta di sperare che gli esiti di questo disastro che ci ha cambiato la vita abbiano presto una definitiva conclusione. “Il tempo aiuta, in certi casi”.
La sartoria di Addis Abeba
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