Le ceneri di Pirandello
- Autore: Roberto Alajmo
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2008
Furono i figli a trovare mezzo foglietto di carta spiegazzato con su scritto “Le mie volontà”. Vi era riportato il testamento di Luigi Pirandello: poche ed essenziali righe che rispecchiano la conformità ad una vita senza mascheramenti: autentica, priva di ipocrisie e convenienze sociali:
I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni.
II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso.
III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta.
IV. Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere, perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra della campagna di Girgenti, dove nacqui.
Ripercorriamo ora, sia pure succintamente lasciando al lettore l’opportunità dell’approfondimento, ciò che successe dopo la sua morte avvenuta nel 1936. Ne parla Roberto Alajmo nel volumetto Le ceneri di Pirandello, illustrato da Mimmo Paladino e pubblicato dall’editore Drago (Roma 2008).
I primi tre punti del testamento vennero rispettati dai figli malgrado Mussolini, si dice, avrebbe voluto un funerale solenne per esaltare il regime. Le peripezie sorsero invece in relazione al punto quarto. Dopo la cremazione la volontà di spargimento al vento delle ceneri non poté essere esaudita: pratica illegale, allora, e avversata dalla Chiesa. Raccolte in un’urna, furono portate al Verano dove rimasero undici anni. Nel dopoguerra, un gruppo di giovani universitari, tra cui Andrea Camilleri, dopo precedenti tentativi falliti, si rivolsero a Lauricella, sindaco democristiano di Agrigento, perché venisse data dignitosa sepoltura nella sua città natale al celebre concittadino. Data la difficoltà dei trasporti, fu Alcide De Gasperi a procurare un aereo militare americano perché la cassetta di legno contenente le ceneri sistemate in un prezioso vaso greco del V secolo a.C. potesse essere trasferita da Roma ad Agrigento. Accompagnatore il prof. Gaspare Ambrosini, noto studioso di Pirandello e futuro presidente della Corte Costituzionale. Poco prima che l’aereo decollasse, una decina di viaggiatori siciliani chiesero di usufruire di un passaggio. Ottenuto il permesso, mentre si sistemavano, qualcuno chiese ad Ambrosini cosa contenesse la cassa. Avuta la spiegazione, a causa dei loro pregiudizi decisero di scendere dall’aereo, rinunziando al viaggio. Anche i piloti americani per non sfidare la malasorte si rifiutano di partire. Da qui la decisione del prof. Ambrosini di viaggiare in treno. Tutto sarebbe andato senza difficoltà stavolta. Eppure, appena sveglio da un breve sonno, si accorse che la cassa era sparita. Fu ritrovata presso alcuni viaggiatori: la stavano utilizzando come tavolo per giocare a carte.
Ad Agrigento – siamo nel 1946 primo decennale della morte - non termina il calvario delle ceneri. Il vescovo Giovan Battista Peruzzo si rifiuta di impartire la benedizione ad un vaso greco. Quando i funerali stavano andando in fumo, il prelato promise di dar luogo alla benedizione a condizione che la cassetta con le ceneri fosse sistemata in una bara cristiana. Al momento ne era disponibile una per bambini. Ma lì la cassa non entrava. Allora venne estratto il vaso ritenuto pagano per sistemarvelo adeguatamente. Fu così che Pirandello ebbe un funerale: il secondo, svoltosi come egli non avrebbe voluto. Cioè in pompa magna. Il vaso greco contenente le ceneri venne subito dopo conservato nella sua casa natale in attesa che il progettato monumento funebre a lui dedicato fosse realizzato in località "Caos", sotto il pino al quale il drammaturgo era affezionato, adesso inesistente giacché stroncato da una tromba d’aria. Poiché l’opera fu pronta nel 1961, solo quindici anni dopo le ceneri poterono avere la loro definitiva sistemazione con un terzo funerale, il 10 dicembre, alla presenza di autorità civili e religiose e personalità della cultura tra cui Salvatore Quasimodo e Leonardo Sciascia. Un cilindro d’alluminio dove erano state travasate le ceneri fu prima benedetto e poi murato dentro il monumento ai piedi del pino solitario amato da Pirandello.
D’ora in poi i fatti raggiungono il massimo dell’umorismo. Si racconta che l’incaricato del travaso, un impiegato del comune, il dott Zirretta, dovette faticare per portare a termine l’operazione. Dopo tanti anni, precisamente ventisei, le ceneri si erano calcificate all’interno del vaso. Facendo uso dello scalpello, Zirretta, coadiuvato da un paio di assistenti, le polverizzò di nuovo e le versò nel contenitore di metallo. Ma era troppo piccolo. Ne avanzava un discreta quantità. Che fare? Ecco l’idea venutagli in mente. Prese le ceneri rimaste, le versò in un giornale e si diresse verso un dirupo, lì vicino, che dava sul mare. Prima di arrivarvi, una folata di vento se le portò via. Per una serie di coincidenze davvero strane le ultime volontà di Pirandello – “il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere” - furono almeno in parte rispettate.
Nel 1994 si accorsero che il vaso greco, conservato nel museo S.Nicola di Agrigento, conteneva ancora un po’ di ceneri. Lo scalpello del dott Zirretta non aveva del tutto funzionato. Questa allora la decisione: sottoporre i resti dei resti all’esame del DNA. Inaudita la scoperta: solo una piccola parte di quelle ceneri appartenevano a Pirandello, la maggior parte ad altri corpi non identificabili evidentemente cremati insieme al suo. Non c’è forse in tutta questa vicenda rocambolesca l’enigmatica presenza di Uno, nessuno e centomila? Sicuramente un racconto che a Pirandello sarebbe piaciuto scrivere.
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