Le due stagioni
- Autore: Paolo Barbaro
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2016
Mi accompagna il dubbio che quelli solo & sempre fissati con la trama non abbiano idea di cosa significhi leggere vera letteratura. Sarebbe ora di rimpiazzare l’abusato «cosa racconta questo libro?» con «in che modo racconta questo libro?» Detta in altro modo: è il come piuttosto che il cosa a dettare il discrimine tra alta e bassa letteratura. Mettiamo il caso, anch’esso abusato, delle storie d’amore e di morte. Scontato coniugarle ricorrendo a succedanei (leggi espedienti) rosa-piagnoni-ombelicali e/o orrido-depressi-crepuscolari. Più difficile trascenderle in senso ontologico, farne cioè materia ineffabile di romanzo dell’anima, cioè racconto di moti sottili, inapparenti, universali.
“Le due stagioni”, il romanzo di Paolo Barbaro uscito postumo per Marsilio rientra nello sparuto novero dei romanzi interiori riusciti. Piuttosto che a un tempo fisico, esterno, le stagioni del titolo riferiscono infatti a una percezione psichica impercettibile, inquieta, umbratile e radiosa come soltanto i cieli di marzo dell’anima sanno suggerire.
La prima estate riferisce alla prima stagione. La stagione del sole. La stagione esaltante in cui Dario - quarant’anni comuni: un mestiere di assicuratore, un matrimonio, dei figli - insegue la passione clandestina per Bruna: due pomeriggi a settimana dopo il lavoro (un po’ come le pillole, o la palestra, a volere essere cinici), sullo sfondo di una Venezia che è la consueta, sublime, Venezia complice. La prima stagione può ancora concedere spazio alle promesse, se qualcosa si increspa si increspa infine, al suo declinare: si increspa per un niente, un’ombra, una contingenza che è un avviso di crepuscolo imminente.
In Diario d’inverno (la seconda stagione) ci troviamo invece in piena sera. Tra le pieghe freddognole del tempo e dei ricordi uncinati che hanno fatto il loro gioco. Dario è ormai anziano, quasi costretto all’immobilità, e il diario che tiene è il diario della fine che è prossima. Una specie di lungo prologo all’ultimo, incombente viaggio sulle gondole nere che attendono carontiche. Ci sono ancora la moglie, i saluti di qualche amico emerso dalle nebbie del passato, i ricordi, c’è una Venezia (una Sant’Elena) uguale e diversa che occhieggia dai suoi ponti solitari ma sono quasi stereotipie al cospetto di quell’immanenza, l’immanenza delle gondole nere. Giocoforza non c’è più Bruna, immagine di una passione lancinante ed effimera come in fondo è la vita.
Paolo Barbaro si avvale di una prosa piena (terza e prima persona), ponderata, per un romanzo allegorico, stratificato, che come tutti i romanzi necessari racconta di noi.
Le due stagioni
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