Le spie del duce
- Autore: Domenico Vecchioni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
È curioso: il primo provvedimento di pubblica sicurezza di Benito Mussolini, poche settimane dopo la presa del potere con la Marcia su Roma, è stato la creazione di un corpo paramilitare e parapoliziesco per far cessare le violenze dei fascisti irriducibili. La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN) è nata per fermare gli squadristi prima degli avversari, si legge con estrema chiarezza nel capitolo iniziale del saggio Le spie del Duce, che il diplomatico e storico Domenico Vecchioni ha pubblicato nel 2020 per i tipi delle Edizioni del Capricorno (160 pagine).
Nel corso della carriera diplomatica, Vecchioni è stato in vari Paesi di due continenti, poi console generale a Nizza, Madrid e ambasciatore italiano a Cuba, dal 2005 al 2009. Da storico e saggista, oltre all’assidua collaborazione con riviste di politica, storia e intelligence e alla consulenza per il canale BBC History Italia, ha firmato una trentina di opere di comunicazione storica e biografie. Per le Edizioni torinesi del Capricorno: Le dieci operazioni segrete che hanno cambiato la seconda guerra mondiale (2017) e Le dieci donne spia che hanno fatto la storia (2018).
La Milizia è stato il primo apparato creato dal duce per consolidare il potere. Tutti i regimi autoritari hanno l’esigenza di attivare strumenti propagandistici e di indottrinamento capaci di motivare il consenso della gente, attraverso riti, coreografie, liturgie collettive e di far nascere strutture poliziesche per controllare le opposizioni, ma anche per limitare gli eccessi delle fazioni amiche, indispensabili nella conquista del potere, ma nocive una volta ottenuto lo scopo totalitario.
Esaurito l’argomento MVSN, sul quale torneremo, l’autore si occupa della CEKA, famigerata organizzazione poliziesca, quasi clandestina ma con sede addirittura nel Viminale, il palazzo romano del Ministero dell’Interno. Era guidata da Amerigo Dumini, il capo della banda che sequestrò e uccise il deputato socialista Matteotti.
Spazio alla Pubblica Sicurezza di Arturo Bocchini, con ampi compiti di controllo politico (da questo corpo nascerà nel dopoguerra la PS della Repubblica, diventata Polizia di Stato negli anni ‘70) e al suo misterioso e onnipresente segmento occulto, l’OVRA, che fungeva da polizia politica segreta e all’occorrenza provvedeva alla giustizia sommaria nei confronti degli oppositori. Infine il SIM, il servizio informazioni militare, con la sua rete di spionaggio e controspionaggio.
Tocca poi ai personaggi, esaminati da vicino e con attenzione, gli stessi Bocchini, Dumini, Luca Osteria la migliore spia del regime, il questore Carmine Senise e il chiacchierato romanziere Pittigrilli. Vecchioni chiude con le decisioni del Tribunale Speciale, ai danni degli avversari del fascismo, costretti al confino nelle isole o in località sperdute.
Di questa forma particolare di soggiorno obbligato si è parlato molto nei decenni successivi, con opposte accezioni. L’autore fa chiarezza: il confino non è stato né un lager-gulag né una villeggiatura, sia pure forzata, semmai entrambe le cose insieme. Era limitazione della libertà personale e d’opinione, violazione del diritto alle opinioni e idee in contrasto con quelle (imposte) prevalenti. Veniva inflitto per punire l’orientamento politico difforme o contrario al regime. Ed era vacanza obbligata: si era costretti a soggiornare in un paesino lontano o in una piccola isola (Ponza, Ventotene, Lipari, le Tremiti) conducendo una vita abbastanza sostenibile, per quanto sacrificata. La rendevano affrontabile il clima, l’accoglienza della popolazione locale, i ritmi rilassati lontano dalle tensioni cittadine, la solidarietà che si stabiliva tra i confinati. I carcerieri potevano essere più o meno intrattabili, secondo il carattere.
Il regime insisteva da una parte nell’ostentare il trasferimento dei confinati in manette (anzi, con gli “schiavettoni” dell’epoca) verso la località di destinazione e dall’altra sotto la regia di Bocchini cercava di diffondere un’immagine tutto sommato bonaria e non intransigente o crudele, come altri Stati polizieschi.
Tornando alla Milizia, va detto che fin da subito Mussolini ritenne necessario arginare la violenza, da lui prima esaltata come strumento di lotta politica. Alla fine del 1922 continuavano le bastonature, l’olio di ricino e le uccisioni di avversarsi politici (il sacerdote don Minzoni a Ferrara, nel 1923). I disordini delle camice nere rischiavano di compromettere le prospettive del primo governo Mussolini, che tutto poteva considerarsi tranne un monocolore fascista, visto che nella Camera i deputati del Fascio erano appena 35. Si trattava di un esecutivo di coalizione, appoggiato anche dai liberali e perfino dai popolari (riportò 306 Sì, 7 astensioni e 116 No, nella prima fiducia a Montecitorio).
Occorreva adottare misure di autoconservazione, consolidamento politico e controllo dell’ordine pubblico. Nel gennaio 1923 nacque la MVSN, con molteplici complici e funzioni. Lo stesso Mussolini sostenne che serviva innanzitutto a “far rientrare nella legalità le squadre d’azione”, inserendole in una sorta di esercito parallelo, nel quale lo spirito e l’ardimento dovevano risultare sublimati, ma non dispersi. Le squadracce indossavano un’uniforme “statale”, ma restavano una minaccia latente per il dissenso.
Nel tempo, le funzioni evolveranno costantemente: da corpo armato della rivoluzione fascista, la MVSN si trasformò in una vera struttura militare e da centrale d’indottrinamento politico in un ulteriore servizio (semi)segreto. 300mila uomini che giuravano fedeltà non al re ma al capo del fascismo, un organismo che incuteva timore e rispetto e del quale i giovani sognavano di entrare a far parte, ascendendo magari alla cerchia ristretta dei selezionatissimi moschettieri del Duce.
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