Le storie del castello di Trezza
- Autore: Giovanni Verga
- Categoria: Narrativa Italiana
C’è da sorprendersi leggendo di Giovanni Verga Le storie del castello di Trezza. La pubblicazione risale ai primi mesi del 1875 e appare, in quattro puntate, sulla rivista “Illustrazione Universale” di Emilio Treves, dato che lo scrittore risiedeva a Milano. Poi è inclusa nella raccolta Primavera ed altri racconti del 1876, preceduta dalla novella "Nedda" (1874). “Peccato di gioventù” l’aveva etichettata lo scrittore di Vizzini che, ad ogni modo, a quella data aveva trentacinque anni con una carriera di scrittore cominciata a diciassette anni.
Ristampata nel 1982 dall’editrice Sellerio di Palermo, ci mostra un Verga diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere: malgrado la critica sfavorevole, suggestiona per la scrittura da leggenda a più piani narrativi e la presenza degli spiriti in quel castello dalla mole vulcanica su una rupe basaltica che domina la cittadina di Aci Castello, in provincia di Catania, e s’affaccia sul mare toccato dagli scogli.
L’influsso della demopsicologia, ha sottolineato Vincenzo Consolo, è evidente, tant’è che Salvatore Salamone Marino cinque anni prima aveva pubblicato la storia d’amore e morte della Baronessa di Carini, tramandando tante versioni orali sull’argomento (circa quattrocento). È noto il fatto, su cui Aurelio Rigoli ha puntato l’acuto suo sguardo di antropologo ("La baronessa di Carini. Tradizione e poesia", Flaccovio, Palermo, 1982): si riferisce alla tragica fine di Laura Lanza di Trabia avvenuta il 4 dicembre del 1563 per mano del padre don Cesare Lanza, barone di Trabia e pretore di Palermo, nel castello arabo-normanno di Carini, a 30 chilometri da Palermo. La giovinetta già era stata vittima di un matrimonio combinato.
Accenniamo adesso alla narrazione di Verga, dove a mo’ di giallo si leggono storie “speculari” che, ambientate nel castello in rovina, procedono dal fantastico al tragico fino a lasciare numerosi interrogativi la cui risposta è affidata ai lettori. Ecco appena una sintesi. Matilde, il signor Giordano, suo marito, Luciano e la signora Olani – figura appena accennata - fanno parte di un’allegra brigata di turisti e sono immersi in un’atmosfera di misteriose energie: “il lume della lampada notturna che guizza sulle immense pareti e vi disegna fantasmi e paure”, “il vento che urla come uno spirito maligno nella gola del camino”, il muggito del mare “come un gemito soffocato dall’abisso” e le ombre che sorgono “da tutte le profondità delle rovine e del precipizio”.
È Luciano a raccontare l’episodio medievaleggiante, tanto strano, del barone don Garzia d’Arvelo e della sua seconda moglie Isabella:
Prima delle nozze, le avevano detto degli spiriti che si sentivano nel Castello, e che la notte era un gran tramestio pei corridoi e per le sale, e si trovavano usci aperti e finestre spalancate...
Una storia questa, costruita secondo i canoni dell’immaginazione popolare, dove la voce narrante fa intervenire diversi personaggi che la animano con i loro dialoghi, mentre lui e Matilde commentano gli avvenimenti. La trama è soprattutto delineata da un testimone interno: Grazia, la cameriera della prima moglie del barone che riporta tanti dettagli. Presa alle strette, riferisce a donna Isabella l’oscuro avvenimento. Poi una svolta sorprendente: don Garzia uccide la moglie-fantasma e si ritrova il corpo reale della baronessa Violante:
La ferita era stata mortale e non sanguinava quasi, solo alcune gocce l’erano uscite dalla bocca e le rigavano il mento.
Il tema del doppio è pirandelliano: quale la verità? La donna da fantasma si era trasformata in corpo o davvero il barone l’aveva uccisa? E tanti altri interrogativi senza risposta. È poi un narratore anonimo, capace di suggestionare l’uditorio per i moduli comunicativi popolareggianti, a raccontare l’episodio di don Garzia con la prima moglie Violante che non si sente rispettata per i tradimenti del marito: faceva prevalere l’autorità baronale sopra ogni rapporto e se la spassava con la mugnaia Mena, mescolando il primo bacio della moglie a quello di una cortigiana. Non mancano i sentimentalismi nella scena in cui si svolge il dialogo tra lei e il paggio, di nome Corrado, fino a sfociare tra i due in un bacio appassionato. Invasa da un misto di cupa rassegnazione, di ribellione e vendetta, cede infine quell’“anima combattuta” al corteggiamento di Corrado dopo che dal barone l’aveva fatto licenziare. Un amplesso di morte il loro che poi spariscono nel nulla. Nell’abisso. Lui precipitato nella gola del trabocchetto; lei buttatasi a mare:
Sul precipizio fu trovato il fazzoletto che aveva asciugato quel sudore d’angoscia sovrumano.
Infine la storia nelle storie: Luciano e la signora Matilde, entrambi innamorati, vivranno la stessa sorte di quei due. Una leggenda, in fondo in cui sono presenti “tutte le influenze possibili”. Conclude Verga: “A Trezza si dice che nelle notti di temporale si odano di nuovo dei gemiti, e si vedano dei fantasmi fra le rovine del castello”.
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