Linea di cattedra
- Autore: Alice Serrao
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2021
Si dice che l’insegnamento, ancora prima che un lavoro, sia una missione. Il termine "missione" implica il concetto dell’essere mandati, inviati, e a fare cosa lo ha ben spiegato Platone raccontando di Socrate, l’insegnante per antonomasia, il prototipo. Socrate era figlio di un’ostetrica, da ciò egli prese la metafora dell’arte maieutica, dell’estrarre il bambino (il sapere, la conoscenza) dal grembo materno. Un insegnante non aggiunge nulla a ciò che l’alunno è, ma lo aiuta a far nascere sé da se stesso, indica e suggerisce un metodo per conoscere. Insegnare è meditare per condividere un sapere che appartiene al singolo, ma anche a una piccola o grande comunità. Certamente si ritrovano questi percorsi nella silloge di Alice Serrao Linea di cattedra (Samuele Editore, 2021, prefazione di Claudio Damiani, pp. 64). La cattedra si annulla nella fusione maestro-discepolo.
“La scuola è già poesia”, afferma il prefatore. Lo è perché entrambe, poesia e scuola, fanno (da "poiein", fare) e fanno il mondo attraverso le parole.
"Sotto la P di Porta... come si passa / rapidamente alle cose, / attraverso un nome, come si passa / all’essenza delle persone.”
Scrive Serrao, in riferimento al semplice uso di fare l’appello, avendo ben chiaro il senso del suo operare e poetare. Il libro è la "cronaca" — uso il termine in senso elogiativo, come lo ha usato Vasco Pratolini nel suo romanzo Cronache di poveri amanti — di un anno di scuola difficile e pericoloso, l’anno scolastico 2020-2021, di pandemia e insegnamento in parte a distanza, attraverso l’uso del computer e la telecamera. È la cosiddetta "dad" (didattica a distanza). Anno difficile per le difficoltà oggettive anche tecnologiche, spesso la comunicazione telematica è carente; difficile nel senso più spinoso, perché l’unità della classe si perde, si frantuma. Diventa essenziale allora la capacità empatica dell’insegnante di tenere assieme tante menti, di amarle come giovani virgulti da far crescere.
Lo sguardo della poetessa, docente di italiano e latino in un liceo, in presenza sa cogliere ciò che ancora la parola non dice ma il gesto adombra. E lo scrive. La sua squisita sensibilità collega i primi desideri amorosi degli adolescenti al testo da studiare — un sonetto dolce stilnovistico della scuola siciliana — che accende e cattura l’attenzione e fa viaggiare in territori ancora sconosciuti, presagendo… La scuola diventa vita, con il suo ineliminabile pathos.
"Bisbiglia “stanotte ti ho sognata: / mi slacciavi le stringhe” forse / per un patto feudale, scrive / in un tema “allaccio nuove amicizie”.
Anno pericoloso dicevo, in quanto le misure di distanziamento adottate dai decreti ministeriali, non toccarsi, non scambiarsi libri di testo, possono distruggere la comunione. Anche la disinfezione forzata è simbolo, nei versi, di un pericolo di sapere asettico, depurato dalle emozioni:
"Ogni docente / rimuove con cura / le cellule epiteliali, il capello, l’angolo / spergiuro di saliva, il gesso / fedifrago, cancella la traccia della sua / fatica. Disfa. / Come fare / l’amore lattice, la vita che non sporca / di seme azzurro, non accade, senza / sedimentazione umana / si astiene dal germogliare.”
L’autrice supera gli scogli, coinvolgendosi e lasciandosi coinvolgere dai "suoi" alunni. A essi è dedicata l’operetta, come pure "ai suoi maestri".
Esiste un filo conduttore in questi testi brevi composti di immagini spesso scenografiche e teatrali, che ritraggono la distanza: è il filo teleologico del ritrovarsi. Il luogo, l’edificio in fine è lo stesso, ma…
“Sono tornata con la disinvoltura dei ciechi, / faccio scorrere le dita sui muri; /so le crepe dell’intonaco, bagnato / sulle scale. […] Omerico il bastone scandisce i perimetri.”
Omero è una figura chiave, concreta e reale nel ritornare nell’edificio dai balconi fatiscenti, in cui è piovuto dentro le catinelle; è un ritorno nel consueto, ma non più rassicurante. Omero è malinconicamente cieco. Vede con l’anima e sa che qualcosa è perso per sempre. Anche il riferimento a Eraclito rafforza il sentimento di perdita.
"L’uomo si riconosce solo / nel cambiamento. / Non saprei dire, se parlasse / di Eraclito, o di noi che dopo / non sapremo / bagnarci nello stesso fiume.”
Tanto è accaduto nell’anno che ha stravolto tutti noi, ma è così sempre e comunque nell’esistenza, simile al fiume che va.
La speranza e la rinascita non muoiono. L’ultima immagine colta è quella di un fiore, primavera di memorie e pure di future promesse di ricostruzione:
“L’ultimo tratto della strada è un’orchidea, / ferisce d’asfalto e nostalgia.”
Linea di cattedra
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