Lingua madre
- Autore: Maddalena Fingerle
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2021
La storia di Paolo Prescher è una storia come tante: una famiglia quasi normale, cresce in una città di provincia, Bolzano, frequenta la scuola italiana, fa fatica ad avere degli amici, odia sua madre, odia vedere suo padre muto, vittima di afasia, al quale vorrebbe ridare la parola e la felicità, odia la città e le montagne opprimenti, dopo il liceo si trasferisce a Berlino, conosce prima la solitudine, poi l’amicizia e l’amore di Mira di Pienaglossa, con la quale tornerà a Bolzano. Raccontata in prima persona in un delirante monologo, la vita di Paolo passa in secondo piano, perché la vera protagonista è la lingua, anzi la parola.
Maddalena Fingerle (che si legge FinGHerle) vince la XXXIII edizione del Premio Italo Calvino – e non solo! Ha anche conquistato il Premio Flaiano e il Premio Comisso – con il suo romanzo che considero un vero e proprio esperimento linguistico.
Il cuore della narrazione di Lingua madre (Italo Svevo, 2021) è la semantica, sia nella sua eccezione linguistica, sia in quella filosofica, come analisi dei simboli linguistici d’uso comune – uno studio delle relazioni tra espressioni linguistiche e il mondo cui si riferiscono. E, nel tentativo di raccontare l’ossessione di Paolo per la parola, noi lettori siamo chiamati anche a un’analisi visiva del segno linguistico, ovvero del significante, associato a un significato.
L’inscindibilità di significato e significante risiede nell’origine del loro rapporto arbitrario, necessario e immotivato.
Non ho potuto fare a meno che ripensare ai concetti della lingua di Saussure, intesa come prodotto sociale della facoltà del linguaggio. La langue di Saussure è il sistema dei segni che compongono il codice di un idioma, mentre la parole è l’atto linguistico del parlante, individuale e irripetibile.
Paolo Prescher, anagramma di parole sporche, inizia la sua ricerca di parole pulite, probabilmente spinto dal ridare dignità a suo padre muto, ma che sempre gli sorride. La sua diventa sin dalle prime battute una vera e propria ossessione che si riversa e si mescola, in primis, all’odio verso sua madre e sua sorella che sporcano le parole irrimediabilmente, poi per cerchi concentrici e con l’avanzare dell’età, l’odio verso chi sporca le parole si allarga: la scuola, gli insegnanti, gli amici, i concittadini, tutti.
“A me piacerebbe tanto spiegare a mia madre e a mia sorella che cos’è la bellezza, anzi no: a me piacerebbe avere una madre e una sorella intelligenti”.
“Mia madre dice che non è mica normale che suo figlio non le parli e non la chiami mamma. Ora potrei dire Mama, ma Mutter è meglio. Mutter è una parola perfetta per mia madre perché è distaccata, cupa, secca”.
Paolo vive la sua esistenza pesando significato e significante, parola sporca e pulita. Una parola è sporca quando perde il suo significato e anche il suo significante, che può essere variato anche solo in un accento, quindi nella sua pronuncia. La parola sporca è sinonimo di ipocrisia. Le parole pulite sono quelle prive di ricordo e lui le cerca, ma poi si sporcano.
Paolo vive l’incomunicabilità e non è un caso che la sua ossessione sia la parola, fiumi di parole, costruzioni di sinestesie e di ossimori, mantra ripetitivi.
Fondamentalmente cresce come un disagiato per due motivi principali: ha un disturbo ossessivo compulsivo di cui nessuno si accorge, impegnati a vivere le loro “sporche” vite; ha un conflitto identitario di confine, a cui nessuno ha mai dato delle risposte sensate, che prende moto proprio nella lingua parlata (che non è italiano, ma neppure tedesco, forse una nuova koinè tra il dialetto alto atesino, il ladino e le due lingue suddette).
Inseguito dal dover fare una scelta linguistica ancor prima che identitaria: dichiararsi italiano o tedesco. Chi è lui? Perché? La città è divisa: italiani che parlano dialetto, il tedesco masticato non è certo l’Hochdeutsch (il tedesco standard, per intenderci) declinato all’uso nelle scuole.
Paolo sceglie di parlare tedesco e di tenere per i suoi pensieri la lingua italiana e decide di lasciare quella terra di mezzo, immutabile e immutata, e va a Berlino.
La scelta della città è interessante se si pensa quanto la capitale tedesca porti in sé proprio il bagaglio multilinguistico e divisivo del tempo del Muro.
Ed è proprio lì, a Berlino, che Paolo scoprirà la solitudine, contornata di belle speranze e incontri che gli cambieranno la vita, come Mira di Pienaglossa, anagramma di sapone di marsiglia, la persona che gli regala parole pulite, momenti di estrema leggerezza, parole in italiano.
“Mi chiede: Se potessi cambiare qualcosa del modo in cui sei stato cresciuto, cosa cambieresti? Cambierei le parole sporche, quelle che mi hanno detto, come me le hanno dette, quello che significavano. I silenzi di papà, le parole stressanti di mia madre. Poi magari avrei voluto fare uno sport, avere amici, cose così, ma forse le ultime no, non lo so, sento la birra confondermi e le chiedo che cosa cambierebbe lei, che risponde: Non cambierei nulla”.
Conosce nello scantinato berlinese gli amici di Mira. Si sente accettato da loro, persino nelle sue stranezze, tanto da lasciare andare la sua ossessione per la parola pulita, tanto da giocare coi suoi nuovi amici con le parole. Interessante l’introduzione del gioco delle lettere scritte dal gruppo a nome dello scrittore famoso amico della madre di Paolo, l’ultima delle quali, pubblicata su una rivista, contiene lacerti di frasi presi qui e lì da altri libri.
Sarà sempre Mira a riportarlo a Bolzano, dove inizieranno un nuovo cammino insieme che ben presto vedrà Paolo confrontarsi con nuovi e sempre più inquietanti buchi neri, il ritorno dell’ossessione della parola, le montagne che tolgono il respiro, le parole sporche della madre. Paolo si sgretola sempre di più, in un passaggio che va dal disagio al delirio, quel sasso sul petto che pareva essersi alleggerito ora pesa più di un macigno.
Un elemento costante in tutto il racconto è l’acqua: la pioggia, le lacrime, la doccia, il fiume. L’acqua elemento purificatore. Paolo si lava fino a consumarsi la pelle per ripulirsi dalle parole sporche.
Lingua madre è un romanzo stratificato, importante nei temi, nell’esaltare la parola, singola, ripetuta, fino a diventare messaggio codificato di una serie di altre possibili chiavi di lettura che lascio a voi scoprire.
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