Nuovo dizionario delle cose perdute
- Autore: Francesco Guccini
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2014
Il musicista Francesco Guccini è anche uno scrittore, dalla penna ironica e dalla capacità di ricostruire atmosfere che hanno caratterizzato la provincia italiana, in particolare la sua terra d’origine, con intelligente e raffinata analisi, sociologica e linguistica. Il Nuovo dizionario delle cose perdute (Mondadori, 2014), dopo il successo del primo volume Dizionario delle cose perdute, sembra proprio uno strumento per non far dimenticare le tante cose perdute che la società globalizzata, internazionalizzata, resa troppo spesso priva di memoria dal consumismo che impone ritmi incalzanti.
Scorrendo l’indice del volumetto, ci imbattiamo in termini desueti, usciti dall’uso attuale: i vespasiani, i deflettori, la carta carbone, i calendarietti dei barbieri, l’idrolitina, chi tra i giovani saprebbe a cosa si riferiscono questi termini? Per noi coetanei di Guccini invece descriverli e ricordarli, come fa con grande efficacia l’autore, è un tuffo nel recente passato che ci ricorda pezzi della nostra evoluzione sociale, che ci fa fare pace con un modo di vivere dimenticato, con oggetti che non sono più in commercio, con abitudini familiari che hanno accompagnato tanti di noi nell’infanzia e nella giovinezza. L’autoradio ad esempio, che non esiste più, un oggetto che abbiamo usato per anni: estrarre dalla macchina la radio, portarsela dietro al ristorante o alla posta per non rischiare il sopraggiungere dei ladri, che avrebbero rotto il vetro pur di rivenderla, era una consolidata abitudine di tutti gli automobilisti.
L’autostop, lo strumento che i giovani degli anni sessanta usavano per viaggiare gratis. La merenda, offre a Guccini lo spunto per contestare le merendine edulcorate che una nota ditta reclamizza da anni:
Alcuni prodotti provengono da un mulino il cui candore è diventato proverbiale. Ma fatevelo dire da uno che in un mulino ad acqua ci è vissuto: i mulini non sono stati mai bianchi, ma grigi, di farina e di polvere e, ogni tanto, anche se è doloroso ammetterlo), pure, in angoli remoti, di qualche timida ragnatela.
Ecco la pagina dedicata alla letterina di Natale, piena di porporina e di ipocrite buone intenzioni che, i bambini degli anni cinquanta scrivevano ai genitori per ottenere qualche regalo in più sotto l’albero. E ancora le cabine telefoniche, davanti alle quali si faceva la fila, con la mano umida di sudore a forza di stringere i tanti gettoni che sarebbero serviti per parlare con qualcuno che abitava lontano e i rimedi casalinghi contro malattie ormai debellate dagli antibiotici: l’orzaiolo, l’ulcera, il sangue nell’occhio, una forma di superstizione che ancora alla metà del secolo scorso imperava presso le persone prive d’istruzione.
Le scarpe, un tempo solo rigorosamente di cuoio, modello per uomini praticamente unico, spesso portatrici di dolore per la loro forma troppo appuntita, oggi scomparse a favore delle coloratissime scarpe da ginnastica, che per molti decenni si identificavano con le sole Superga bianche.
Una pagina interessante è dedicata da Guccini al cosiddetto “luogo comodo”: una ricostruzione della miseria di gran parte della popolazione italiana, priva di fogne, al suo posto il famigerato pozzo nero. Il bagno in casa, acqua corrente e acqua calda erano un lusso di pochissimi cittadini. Ci si lavava poco e male, i bugigattoli nascosti maleodoranti dove si espletavano le funzioni corporali giornaliere, le latrine, i cessi, erano luoghi indecenti ai nostri occhi di persone abituate ad un igiene talvolta maniacale. Divertente l’uso della carta, prima dell’avvento dei piani di morbidezza: carta da pane, più leggera e morbida, al posto dei giornali, tagliati a quadrati ed appesi ad un chiodo: come dimenticarli.
Insomma Nuovo dizionario delle cose perdute è un excursus intelligente e profondo su come eravamo, su come siamo diventati. Grande Francesco Guccini, la sua ricostruzione storica attraverso oggetti, abitudini, personaggi, modi di dire e di pensare, ci consegna un’Italia arcaica dalla quale siamo faticosamente usciti, ma attraverso la memoria di come eravamo ci mette in guardia dagli eccessi, dalle esagerazioni, dai falsi miti di cui siamo troppo spesso imbevuti.
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