Ore di Spagna
- Autore: Leonardo Sciascia
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
"Andare per la Spagna è, per un siciliano, un continuo insorgere della memoria storica, un continuo affiorare di legami, di corrispondenze, di “cristallizzazioni”."
Questa l’idea delle similitudini da cui è nata l’esigenza di conoscerla. Sappiamo da una lettera inviata all’editore Laterza che nel 1956 Sciascia, a trentacinque anni e a sue spese, aveva fatto il suo primo viaggio in Spagna senza però scrivere nulla. Poiché da tempo aveva in mente di "girarvi" un libro, vi ritorna a distanza di anni in compagnia del fotografo di Bagheria, Ferdinando Scianna, dotato di buona cultura letteraria. Nel 1982 e nel 1984 rivisita infatti la terra di Don Chisciotte e questa volta, al ritorno, ha in tasca testi che, nel 1989, vengono pubblicati in dieci capitoli dall’editrice Pungitopo, di Patti (ME).
Curato da Natale Tedesco, il libro si intitola Ore di Spagna, corredato dalle fotografie di Ferdinando Scianna. L’opera viene ristampata da Bompiani nel 2000 e ripresentata da Contrasto nel 2016, che ha ampliato il corredo fotografico. Gli scritti sono corrispondenze giornalistiche dei due viaggi di Sciascia. Raccolgono sensazioni, riflessioni, ricordi e, in modo palese, negli ultimi capitoli si parla della guerra del 1936-39:
“Sembra un evento lontanissimo. Eppure appartiene, intrinsecamente appartiene, a una generazione di viventi. Alla mia generazione, alla generazione che oggi si avvicina ai sessant’anni e da qualche anno li ha oltrepassati. Alla nostra storia personale. Alla nostra protostoria: nel senso che da lì comincia la nostra storia nella Storia...”.
Dell’argomento lo scrittore si era occupato in opere precedenti a partire dal capitolo Breve cronaca del regime del romanzo Le Parrocchie di Regalpetra. Vi si legge:
“Avevo la Spagna nel cuore”.
Per lui, adolescente, nasceva “un primo amore intenso e disperato”. Sentimenti profondamente inquietanti aveva provato pensando che contadini e artigiani del suo paese andavano lì a morire per il fascismo:
“Ci andavano per fame. Li conoscevo. Non c’era lavoro, e il duce offriva loro il lavoro della guerra”.
È nel confronto con le vicende spagnole che si forma la coscienza civile del giovane Sciascia in direzione dell’antifascismo. Più tardi si documenta con diverse letture:
“Ecco, allineati in uno scaffale, insieme a quelli di cose stendhaliane e di cose siciliane, i soli ordinati nella mia libreria, tutti i libri che riguardano quell’avvenimento; e non sono pochi. C’è, particolarmente caro, quello di George Orwell: Omaggio alla Catalogna. I grandi cimiteri sotto la luna di Bernanos, La speranza di André Malraux, L’esperienza della guerra di Spagna di Matthews, Il diario di Koltsov…”.
Nel racconto L’antimonio la guerra civile si era manifestata in tutta la sua evidenza: lo zolfataro, che si arruola volontario per la crociata anticomunista in Spagna, ne ritorna disilluso. Intellettuali come l’americano Chaplin si erano schierati a favore dei repubblicani, e lo scrittore ora ripensa agli uomini disperati del suo paese che avevano accettano di arruolarsi come volontari con le truppe franchiste, spinti esclusivamente dalla fame:
“Volendo restaurare il ricordo e tentare di unificare quei due sentimenti contrastanti, potrei dire che il primo — l’ammirazione per Mussolini — era già insediato dal secondo — la pena per gli zolfatari che si sgolavano e cuocevano sotto il sole aspettando Mussolini. Pena e commiserazione che venivano dal fatto che io già sapevo quel che loro ancora non sapevano: che il fascismo era contro di loro, che il fascismo li ingannava e li vendeva”.
Le sue osservazioni assumono un valore importante:
"Abbiamo visto paesi distrutti da terremoti: ma le rovine di Belchite sono altra cosa. Vi si sente la guerra, la volontà di morte, l’odio da uomo a uomo. Lasciandolo così per esaltare chi lo ha difeso, Franco ha finito col lasciare un monumento ammonitorio per tutti gli spagnoli. Più della “valle dei caduti” – che si disse voler rappresentare il ricordo dell’immane tragedia, l’ammonimento e l’avvenuta pacificazione degli spagnoli; ed è invece faraonico monumento di atroce fanatismo e stupidità – le rovine di Belchite restano come una terribile testimonianza della guerra civile nel senso in cui Azaña la soffrì: fino “a toccare disperatamente il fondo del nulla”."
Parla Sciascia dell’Inquisizione e si intrattiene sul Don Quijote, una di quelle poche opere da considerarsi patrimonio dell’umanità, passando per il volume delle Obras di José Ortega y Gasset, testo a cui è profondamente legato:
“Così, sulle Obras di Ortega ho appreso quel po’ di spagnolo che so (e lo so da sordomuto: a leggerlo soltanto). Ma quel che più conta è che da Ortega ho appreso a leggere il mondo contemporaneo, il modo di risalire dai fatti, anche i più grevi ed oscuri, ai “temi”: e cioè di dichiararli, di spiegarli, di sistemarli in causalità e conseguenzialità”
.
Ecco il senso: i temi, quelli del nostro tempo; l’attualità a cui egli perviene muovendo da episodi del passato. Da quest’ottica le Obras di Ortega sono
“come un grande libro di viaggio, un viaggio straordinario, avventuroso, ricco di imprevisti e di rivelazioni nelle regioni dell’intelligenza”.
Aveva cominciato a studiare la lingua spagnola come autodidatta, servendosi di un manuale popolare dell’editore Sonzogno; ma, appena avute le sue opere, lo lascia da parte e legge Ortega, tenendosi da parte il Nuevo Diccionario Enciclopédico del la Lengua Castellana. Profonda l’ammirazione per scrittori e poeti spagnoli della Generazione del 1927, che non si sono piegati alla brutalità della violenza (Lorca, Salinas, Guillén, Alberti, Cernuda, e poi tutto il resto del pantheon letterario e filosofico: Machado (“il più puro poeta di Spagna”), Baltasar Gracián, Unamuno, Américo Castro: di essi apprezza il forte legame con il popolo e con la loro “terra insanguinata”. L’ideale è “la fraternità dei poeti col popolo”, della poesia che nutre le idee, quelle idee da cui sarebbe nata la Resistenza europea.
Il volume è raffinato, elegante per il rapporto testo-figure. Ogni due o tre capitoli prendono il via dagli scatti in bianco e nero di Scianna, che con stile cattura i momenti della vita quotidiana, i luoghi della guerra, della “Semana Santa” sivigliana. Sciascia ne rievoca il luttuoso barocco che fa sbiadire tutte "le Simani Santi siciliane" e ricorda la bellezza delle donne in processione:
“di suprema eleganza nel nero dei vestiti e delle mantiglie, alcune con vistosa ma velata scollatura, tutte con l’alto pettine da cui la mantiglia scende. Appaiono belle anche le brutte. E bellissime le belle”.
Ha il gusto della semplicità quando per esempio osserva che le le strade
"sono invase da alacrissimi nugoli di spazzini che raschiano lo strato di cera che le migliaia di candele hanno sgocciolato".
Oppure quando si riferisce alle "saetas", i canti gitani scagliati dai balconi al passaggio dei funebri cortei, la cui particolarità è tanto estetica da dare "l’impressione di un raptus – di un rapimento amoroso". Lo sguardo coglie pure il dettaglio dei ragazzini vestiti come adepti del Ku Klux Klan:
"la presenza dei bambini incappucciati nelle processioni, numerosissimi, è fatto che colpisce. Di quattro o cinque anni: e camminano con le mamme a lato che di tanto in tanto sollevano loro cappuccio e li imboccano del panino, del sorso di Coca-Cola. E resistono fino a notte alta".
Pregevoli i ritratti di eroi della resistenza antifranchista. Sciascia mostra il corpo da orso russo e dalle sopracciglia brezneviane del discusso combattente comunista Enrique Líster, raccontato da Hemingway nel resoconto della battaglia di Belchite. A spiccare è l’immagine dal volto grinzoso di Dolores Ibarruri, “La Pasionaria” per il fervente e instancabile attivismo maturato a contatto con la miseria dei minatori. "El tema de nuestro tiempo" è in sintesi il problema di Sciascia vissuto con il rigore della morale manzoniana. Vi giunge attraverso la lettura come diletto: è questa la spiegazione del “Desocupado lector”, al quale Cervantes affida il Don Chisciotte: “desocupado”, cioè “in grado di essere occupato dalla gioia della lettura”. Ciò si coniuga con la perentoria affermazione che "la letteratura è figlia della verità": un caposaldo della scrittura di Sciascia per il quale la parola è bella se civilmente è vera.
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