Pier Paolo Pasolini. I film: guida critica per nuovi spettatori
- Autore: Piero Spila
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2015
Prima della moviola il film è Caos, qualcosa di informe, di slegato, che non esiste, un coacervo di frame, disomogenei tra loro. Solo il montaggio - attraverso l’atto “definitivo” - ne conferisce il senso. Secondo la semiotica pasoliniana che assimila cinema e vita, funziona allo stesso modo per la vita: è la morte a fissarne (definirne) la parabola. Persino superfluo attardarsi oltre sul “genius” trasversale di Pier Paolo Pasolini ( “pasoliniano” è un termine che in fondo non spiega, la caratura intellettuale di P.P.P si colloca oltre le stesse aggettivazioni), sulla vis dirompente, sui generis, post-neorealista, profetica, autoreferenziale, del suo cinema. Il saggio che Piero Spila gli dedica (“Pasolini. I film: guida critica per nuovi spettatori”) è un’occasione ideale per rileggerne il rapporto intrinseco con la settima arte, attraverso l’analisi e i retroscena delle pellicole girate ma anche (soprattutto) attraverso il filo conduttore della morte che le caratterizza una per una: dalla vita agra di “Accattone” al necrologio collettivo di “Salò”. Per dirla con le stesse parole di Piero Spila:
“Per Pasolini, autore di cinema, la morte è un archetipo poetico, ma è soprattutto un sentimento nostalgico e familiare, da cui scaturisce un dolore sincero e anche una preziosa febbre creativa. È sempre con la morte che il suo cinema si chiarifica, si impenna e raggiunge il massimo di tensione dialettica, il momento più alto della verità e dell’equilibrio formale”.
L’ossimoro è soltanto apparente, la sua portata affluisce nella vocazione a spiazzare di Pier Paolo Pasolini. Nell’esigenza - quasi pressante - di sottrarsi al conformismo (anche espressivo). Nella refrattarietà palesata verso ogni forma di omologazione, nel suo sguardo bipolare sul mondo: da un lato il mito della società arcaica, dall’altro il focus acuminato sulla contemporaneità. Incurante dei punti di frizione, compenetrando sacro e profano, carne e spirito (il sesso è sacro quanto l’anima e nella carne si manifesta lo spirito), comunismo e cattolicesimo, politica e poesia.
A quarant’anni dal suo efferato omicidio, Pier Paolo Pasolini rimane, insomma, il fantasma per antonomasia della Nazione, un fantasma inquieto e necessario, con cui fare i conti. I suoi film (ancorché imperfetti) restituiscono non scalfita la loro attualità, giovandosi di una capacità evocativa poggiata su uno sguardo “poetico”, quasi pittorico, meta-temporale. Per riandare ulteriormente all’ottimo saggio di Piero Spila:
“curioso che la critica cinematografica, nella maggioranza dei casi, abbia spesso equivocato il senso profondo del suo lavoro, utilizzando parametri di giudizio tradizionali e quindi attardandosi sulla ‘fertile imperfezione’ dei suoi film, e perdendo di vista (o sottovalutando) l’aspetto più anomalo, ibrido, spiazzante, di un cinema che, come ha detto Patty Smith, ‘è stato capace di raccontare sanguinando un tempo che sanguinava’”.
Il “Pier Paolo Pasolini” di Spila (oltre 150 pagine di medio formato con foto in b/n e colori) è dunque il tentativo (riuscito) di risistematizzare l’anamnesi pasoliniana, per una radiografia completa del regista e della sua idea di mondo, attraverso i suoi film. Il volume esce per la collana “I grandi del cinema” di Gremese, la cui ripresa - dopo il lungo periodo di “stand by” - va salutata con grandi aspettative.
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