Rifrazioni
- Autore: Elio Pecora
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2018
Rifrazioni di Elio Pecora è un libro che pare situarsi con fermezza in un punto originario, della vita, della realtà, della poesia. Originaria è la voce poetica, innanzitutto; densa e profonda dietro la parvenza di una dizione conversevole; levigata come un oggetto antico custodito con una lunga fedeltà; esposta ai graffi del tempo, eppure intatta come una conchiglia riemersa dalla sabbia dei millenni.
Si ha l’impressione di ascoltarla, vitale e presaga intorno a noi, quella voce, con lo stesso nitore di cieli assoluti, di vento e di polvere, e di frutta matura, come in un canto di Saffo e di Alcmane.
Lo stupore di fronte alla sfuggente, ma solida immanità del Cosmo dei lirici greci, ricreati tuttavia - non tradotti - nel sangue e alle radici, da chi ha avuto la sorte di ascoltarti e riviverli forse in un’altra voce, nella grazia incrinata di un altro poeta (non penso a Quasimodo, ma a Sandro Penna).
Ascoltiamo:
“L’ora è ferma e lucente, un pigolio/si spande fra i castagni e gli ulivi; /al desiderio basta il desiderio/ di una felicità solo sfiorata”.
Gli ulivi e i castagni, incuranti di un mondo che si disfa, si elevano, sacri in questi versi; e sono voci oranti e trepide d’incanto, che portano al centro della scena il silenzio, contraltare del frastuono frammentato e solipsistico che ci circonda. Elio Pecora scrive per evocare il silenzio. Un silenzio nella cui ombra convivono implacate l’attesa e l’inattendibile, la cruda maestà del tempo e la morte, che vi si nasconde infida e seducente, quasi ad avverarne il senso e la giustezza agli occhi di chi guarda, modulandone la vertigine del nulla in una parola necessaria, capace di indicare un’altra strada che non conduca verso l’abisso.
Poesia è osservare il tempo nell’assenza di ciò che continuiamo a vedere: nella memoria, nel nome che ci chiama da una distanza, nelle ore perdute, colme di redenzione. Guardare il tempo è in fondo una metamorfosi. Per questo l’immagine del giardino che ci accoglie fin dalla soglia di questo libro screziato di colori e umori, persuadendoci con sensazioni tattili (quasi una fisica della percezione, antidoto alle astrazioni incolori dell’impoetico modernariato attuale), ci appare come l’emblema materico di una realtà che si avvera tutt’intorno nel suo incessante fluire, nell’attimo del suo trascorrere che è al contempo forma, manifestazione - l’unica possibile - dell’Eterno. Il giardino è l’angolo in sé conchiuso, non dissimile dalla coscienza umana, da cui guardiamo immobili (con Pitagora e con Proust; con Ovidio e Bergson) la forma esatta ed effimera delle cose trascorrere, rifrangendosi, in un altrove. E la poesia stessa, altro non è che questo incanto, tenero e malinconico, di sentire il tempo, da un angolo silente e ombroso (“quel che chiamiamo Sublime/sta nell’ombra”), da un’ansa della coscienza esposta ad esso, fino a percepirne (come ci ricorda in un bellissimo saggio Pietro Citati) la liquidità.
Rifrazioni
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La comunicazione del silenzio è bellissima sei straordinario. aggiungi ancora un altra perla grazie