Dante Alighieri e Jalāl ad-Dīn Rūmī sono i più grandi poeti mistici di tutti i tempi. Quasi contemporanei (XIII secolo d.C.), uno italiano e l’altro persiano, teisti, raggiungono entrambi l’unione con Dio, ma Dante ha dovuto nascondere il finale del suo poema e mascherare diverse teorie catare “sotto il velame”, data la feroce intolleranza dell’Inquisizione; ha rischiato il rogo, esule, continuamente perseguitato. Rûmî al contrario, dalla Persia trasferitosi in Turchia, poté liberamente fondare una sua confraternita sufi di dervisci e raccogliere il consenso di tutte le comunità religiose. Per la sua tolleranza e universalità del Dio Supremo adorato e amato con toni di un amante terreno, alla sua morte al funerale partecipò il popolo con esponenti cristiani, ebrei, musulmani sciiti e sunniti. Ancora oggi è venerato, considerato santo, quasi un Dio.
Alessandro Bausani ha tradotto e raccolto 50 poesie del poeta, distici facenti parte dell’opera monumentale di nove volumi Divan, Canzoniere, più dodici quartine nel bellissimo libro Poesie Mistiche (Bur Biblioteca Universale Rizzoli, pp. 145, 1993). Le rime vengono perdute nella traduzione, ma le metafore, tipiche della tradizione persiana, espresse in modo non dogmatico, risplendono ugualmente e colpiscono per la loro profondità.
L’autore non è panteista, Dio non viene assimilato al mondo, che ha creato dal nulla e al nulla ritornerà, con cicli ricorrenti di emanazione e riassorbimento, secondo quanto afferma anche la fisica moderna riguardo alla materia, processo teorizzato da Jung e dal fisico premio Nobel W. Pauli.
Il distacco dal contingente nell’opera di Rûmî è continuo, eppure l’amore per la natura è fortissimo. Il vino e l’ubriacatura sono immagini dell’estasi extra razionale; gli uccelli rappresentano l’anima umana, l’amore e l’annullamento di sé nell’Amato sono le condizioni dell’unione mistica. Il re e il mendicante sono intercambiabili, giacché i ruoli sociali fanno parte dell’illusione mondana.
Solo il Profeta, il maestro e iniziatore del poeta, un personaggio di cui si sa poco, chiamato Shams, rappresenta l’incarnazione di Dio.
Tutto esiste per il presente, e subito scompare qui, ma è conservato nei piani alti dell’essere, nulla si perde:
Ogni forma che vedi ha il suo Tipo supremo nell’Oltrespazio: / se la forma scompare, non temere: la sua radice è eterna.
Sentiamo l’eco del neoplatonismo.
L’artista descrive l’evoluzione, è evoluzione fisica e soprattutto dell’anima, della coscienza, dunque tutto è animato nel cosmo; esiste un prima e un dopo per ogni uomo, prima di esistere come essere umano:
Fosti dapprima sasso, poi divenisti pianta, / e ancora poi animale: come ciò t’è nascosto? / Poi divenisti Uomo con scienza, mente e fede: / guarda come ora è un Tutto quel corpo, già Parte di terra! / E trascorso oltre l’uomo, diverrai Angelo certo, / oltre questa terra, dopo: il tuo luogo è nei cieli!
La via dell’elevazione passa per l’umiltà, l’accettazione totale della volontà divina, che comprende anche il male, finalizzato a un bene più alto.
La follia d’amore non ha bisogno di aggrapparsi a nessun bene materiale:
L’uomo di Dio è, senza vino, ubriaco, / l’uomo di Dio è, senza cibo, già sazio.
Quest’uomo è un ispirato, vive nell’intuizione:
L’uomo di Dio è per Realtà sapiente, / l’uomo di Dio non ha dottrina di libro.
Rûmî non si occupa di contrasti teologici, va oltre le ideologie, sempre parziali.
Dio risiede nel proprio cuore:
E, in fine, mi fissai lo sguardo nel cuore, ed ecco, là io Lo vidi, / in nessun altro luogo che là, egli era! [...] / Io più non ero.
Indiarsi è la rinuncia a ogni pretesa esibizione ed egocentrismo. Perfino la creazione artistica è un dono per il Creatore, ed è nulla pur essa:
Sono artista, pittore, creo idoli ad ogni istante, / e poi, tutti quest’idoli, ai tuoi piedi li infrango!
Per vivere è necessario conoscere la pace e liberarsi da ogni dipendenza e voracità.
La felicità è data ed espressa dalla musica, detta “Samâ”, in particolare la musica del flauto, dal canto e dalla danza.
Nel rituale derviscio la danza veloce in tondo porta alla perdita della coscienza abituale; è stata una ritualità non approvata e a volte osteggiata dai dottori della Legge. Era ed è lo strumento per raggiungere la liberazione delle energie superiori. Possiamo assimilare questa tecnica alle pratiche dionisiache e alla predilezione di Nietzsche per la musica.
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