Taccuino per stenografia (1937-1938)
- Autore: Emil Cioran
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2022
Emil M. Cioran, nato in Romania, lasciò giovane la propria patria per vivere nella sua città di elezione, con cui aveva un rapporto di totale amore. Parliamo di Parigi, la Ville Lumière. Però, spesso e volentieri, Cioran ne scriveva male, soprattutto quando divenne anziano.
Certo, vivere in una piccola mansarda nella capitale francese poteva essere faticoso, anche se aveva intorno giovani studenti e gente comune che lo aiutavano anche economicamente. I soldi non erano mai stati in problema per Emil Cioran quando era giovane.
Nei suoi primi anni in Francia scrisse il Taccuino per stenografia, ora pubblicato da Mimesis edizioni (2022, traduzione di Antonio Di Gennaro), redatto presumibilmente tra il 1937 e il 1938. Si tratta di un quadernetto di appunti e note sparse, nelle intenzioni non destinato alla stampa.
All’epoca, avendo una bicicletta in dotazione, il giovane Emil passava almeno tre mesi a girare per la Francia, andando in Bretagna o nella città di Marsiglia. Talvolta arrivava anche in Italia o in Inghilterra. Aveva pochissimi soldi. A mantenerlo non era tanto l’università di Bucarest, ma l’istituto di Francese della capitale della Romania. Cioran aveva fatto domanda per un dottorato a Parigi che tuttavia non iniziò mai, ma intanto aveva quel poco che gli permetteva di sopravvivere e un tetto sulla testa. E questi problemi economici se li portò dietro fino alla fine dei suoi giorni: morì nel 1995 a Parigi.
La grande ammirazione che si prova per questo filosofo è derivata anche dal fatto che arrivò a scrivere in un francese meraviglioso, fluido. Il francese parlato invece lo imparò da sé girando in bicicletta in giro per la Francia, come è già stato scritto.
Mangiava in un’osteria in una cittadina della Normandia a poco prezzo, poi chiedeva la chiave per una camera. Se non erano attrezzate anche come pensioni, il giovane Cioran dormiva per terra. Dopo cento chilometri e più, il giovane intellettuale superava anche l’insonnia, che fu un problema che si portò fino alla tomba. In questi viaggi in bicicletta, Cioran portava con sé un taccuino per riportare emozioni, viaggi, ma soprattutto brevi riflessioni sulla sua interiorità.
I suoi resoconti erano scritti in romeno, ma a volte usava già il francese.
La cosa che stupisce è perché un ragazzo non bello, ma di aspetto gradevole, colto, provvisto di un umorismo tagliente non avesse trovato la voglia di farsi degli amici nei suoi vagabondaggi, mentre a Parigi, nella maturità e nella vecchiaia, era molto più socievole e sicuro di sé stesso.
In un passo del taccuino troviamo scritto:
Non c’è che un uomo da cui devo difendermi sempre: me stesso. Ci sono persone che hanno bisogno
della povertà per poter eccitare il proprio spirito. La povertà come afrodisiaco mentale... le mie tristezze mi hanno sopraffatto. L’universo non mi si addice.
Troppa solitudine faceva sì che lo scrittore e filosofo proveniente dalla Romania addirittura tirasse in ballo l’universo per dire che la vita è insensata, che te la godi la vita se sei un uomo stupido o una donna stupida. Al massimo l’intelligenza può portarti a fare delle belle conversazioni, ma la felicità ti è preclusa.
E poi c’è questo sostantivo che aleggia costantemente ed è la parola “morte” che Emil Cioran non dimentica mai. Il cervello appare quasi lacerato dal desiderio struggente di morire. Solo con la morte ci liberiamo dai dolori mentali e fisici e apriamo infine la nostra finestra sul nulla.
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