Talvolta un libro
- Autore: Antonella Polenta
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
Ho letto e riletto “Talvolta un libro” di Antonella Polenta (nomina sunt omina) e ho potuto apprezzare la sapiente e documentata ambientazione storica e sociale di un periodo effervescente della nostra storia, a cavallo fra il tramonto del Medioevo e l’Umanesimo-Rinascimento, descritto amorevolmente con linguaggio di proposito ricercato e aderente alla realtà anche nei minimi particolari.
L’impatto di Francesca nel defilato ambiente sociale-politico di Gradara è abbagliante: la sua bellezza fisica e la sua seducente eleganza colpisce tutti e movimenta il chiacchiericcio del vivace Borgo cresciuto ai piedi del Castellare. Anche Lanfranco, giovane figlio dello speziale del borgo, solitario appassionato di libri e cultore della letteratura cavalleresca e dello Stil Novo, rimane colpito dalla bellezza di Francesca, ma questo primo impatto con lei è destinato a diventare sconvolgente mano a mano che un complesso di circostanze lo porteranno a conoscerne la fascinosa personalità, al di là delle saccenti illazioni che svolazzavano per le botteghe e le locande del paese.
Dalle prime frequentazioni al castello Lanfranco scopre la soave colloquialità di Francesca, la sua gentilezza d’animo, le amorevoli attenzioni per la piccola amata Concordia e qualche consonanza d’intenti per la sua passione per la donna idealizzata e quindi se ne innamora:
“Amor che al cor gentil ratto s’apprende”.
Eppure sul volto di questa nobildonna aleggia un velo di mestizia che, però, ne aumenta il fascino! Evidentemente questo amore che la muove comprende l’amor cortese ma non si ferma lì!
La parte centrale di questo libro è dedicata alla scoperta di quella umanità solidale che si manifesta lungo il percorso della Via Francigena e qui viene focalizzata sulla personalità di due donne, Veridiana e Salvina, che a me hanno destato tanta impressione. Veridiana è la nutrice di Margherita, la figlia del banchiere un po’ taccagno e presuntuoso di Gradara, cui riversa un amore di mamma, del tutto disinteressato. Sono struggenti alcuni passi di “Talvolta un libro”, come quello che descrive il distacco da Margherita per affrontare il viaggio straziante del pellegrinaggio o la scena del vitellino bigio con la stellina bianca sulla nuca, dove Veridiana condivide francescanamente con gli animali il suo sentimento della maternità. Ma Veridiana supera se stessa nello stupendo dialogo con Fra’ Vincenzo quando, con stretta logica filosofica, costringe il frate ad ammettere che le bellezze della creazione e delle opere umane potevano bene essere attribuite alla operatività dell’uomo senza ricorrere all’azione di un Essere perfettissimo che, proprio perché perfetto, non poteva essere anche perfettibile! Del resto lo stesso frate aveva invitato Veridiana a non fare affidamento per la sua guarigione soltanto sulle preghiere, senza aver fede nell’Altissimo. Veridiana si affida invece a quella forza interiore che lei possedeva, l’amore corrisposto per la sua Margherita, che le avrebbe fatto superare ogni ostacolo. Un immenso aiuto lo aveva ricevuto da Salvina, novella maddalena affetta dal male oscuro, anche lei pellegrina lungo la Via Francigena, che offre amicizia e soccorso in maniera talmente disinteressata e anonima che neanche l’intelligentissima Veridiana riesce subito ad afferrare.
Tutti questi personaggi sono mossi da quel venticello leggero e da quell’alito lieve che soffia nella Porziuncola, luogo in cui Francesco morì, e che Francesca avrebbe voluto visitare con suo marito Gianciotto; ma anche in tutti i luoghi della sua infanzia e giovinezza che nostalgicamente ricorda negli incontri ora più frequenti, perché sollecitati anche da Lanfranco e da lei promossi, anche con qualche dolce al miele e con qualche sorso di Albana, rigorosamente versato in scintillanti coppe d’oro. Ma neanche questo
“Amor che a nullo amato amar perdona”
appaga Francesca!
Evidentemente fa parte del suo mondo, se suscita tanta struggente nostalgia, ma non si completa nel suo animo! Lanfranco lo avverte da certi comportamenti insoliti alla presenza del bel Paolo; da certe risposte un po’ risentite circa il rapporto tra Francesco e Chiara, che lei concepisce assolutamente paritario; da certe osservazioni circa il trattamento del prigioniero martoriato nel carcere del castello; ma anche nello scatenarsi in se stesso di tempeste ormonali e di morsi di gelosia, al di là della sua passione per l’amore gentile; ultimamente anche da certi stranissimi comportamenti dei famigli del castello. E allora, novello Ulisse dantesco e prigioniero incatenato come nel mito della Caverna di Platone, Lanfranco si libera delle catene e va ad osservare direttamente il mondo della Verità al di là delle opinioni di tutti.
È questa verità che lo libererà, anche con l’aiuto delle stelle, dallo sconvolgimento subìto e ne acquieterà l’animo inducendolo a superare lo sconforto nell’accogliere nella casa ingrigita quella fiammella di familiarità che avrebbe riacceso la luce dell’amore: Margherita.
“Amor condusse noi ad una morte”
quello che ha scoperto Lanfranco lo possiamo vedere da quello stesso occhiello fatto praticare da Giovanni Malatesta sulla parete della stanza di Francesca e posto sull’immagine di copertina di questo libro: la morte ha realizzato il sogno di Francesca e spinto Gianciotto Malatesta fin sotto a Caina; un amore totale che abbraccia la bellezza rarefatta della donna idealizzata; ma anche la bellezza carnale del bacio che le donne di mal’affare non comprendevano nel loro prezzario; anche la bellezza di ogni tipo di amore quando si condivide con gli altri ma, soprattutto, la bellezza della libertà di sceglierlo in chi si rispecchia nell’altro, allo stesso modo di Francesco e Chiara, paritariamente contribuendo alla gloria di Dio. È questo
“L’amor che move il cielo e l’altre stelle”.
In questa stupenda sintesi poetica di Dante mi piace chiudere questa serie di osservazioni ed emozioni che la lettura di questo libro, semplicemente bello, mi ha regalato, ringraziando Antonella Polenta, autrice di “Talvolta un libro” per avermi offerto l’opportunità di rileggere con sguardo più ricco e profondo l’opera di Dante e congratularmi con la casata dei “da Polenta”, di cui Francesca andava giustamente orgogliosa, per aver partecipato a quella deliziosa gara di ospitalità fissando alla colonna della piazza di Bertinoro, mi piace immaginare, l’anello più fortunato al quale Dante ha assicurato il suo mantello.
Talvolta un libro. Francesca da Rimini nata da Polenta
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Ho terminato il bellissimo romanzo di Antonella Polenta "Talvolta un libro".
Direi che l’ho divorato, più che leggerlo. Mi sembrava, mentre ne sfogliavo le pagine, che una macchina del tempo mi avesse trasportata indietro nei secoli, ai tempi di Dante e dell’amor Cortese, di dame e cavalieri.
In una rara atmosfera di vita medievale, tra castelli, segrete, botteghe di maniscalchi e spezierie, talmente ben descritte da sembrare di sentire quei profumi, quei rumori, lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli, l’aroma delle erbe medicamentose, il fruscio delle sete. Mi pareva altresì di poter ammirare il colore brillante dei mantelli colorati con la robbia. Un caleidoscopio di colori, odori, sensazioni vivissime, come se la nostra Autrice davvero vi fosse vissuta, e ne riportasse ogni emozione sperimentata, con la passione di chi ha amato quei luoghi e quell’epoca, così lontana e al tempo stesso tanto ricca di fascino.
L’amore che sboccia tra Paolo e Francesca viene narrato da Lanfranco, giovane appassionato di letteratura e di poesia, sempre in bilico tra il suo desiderio letterario di amor cortese e i turbamenti emotivi del suo corpo giovane. Si mescolano mirabilmente fantasia e fatti storici, in un susseguirsi di eventi perfettamente concatenati, dove il lettore si appassiona, sentendosi magicamente egli stesso uno dei personaggi descritti.
Un romanzo storico, lieve e scorrevole come un giallo, scritto in modo mirabile, in un italiano superlativo. Un libro di grande livello, di cui consiglio vivamente la lettura.
Elisabetta Fioritti