Terra dei ritorni
- Autore: Alessandro Anil
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2023
Alessandro Anil, classe 1990, è vissuto fino a sedici anni in India, nel Bengala occidentale a Santiniketan, dove ha frequentato la scuola fondata da Tagore. “Shanti” in sanscrito significa pace ed è la pace interiore che il poeta cerca nella breve ma intensissima silloge Terra dei ritorni (Samuele Editore, pp.68, 2023), con versi lunghi e discorsivi alla maniera di Walt Withman.
Il ritorno è necessario per raggiungere l’annullamento, quale legge inderogabile individuale e, su scala storica e sociologica, è caratteristica peculiare del nostro tempo, sentito e visto con lucidità come fine di un’era:
La metafora più fedele di questo inizio secolo è la fine del giorno.
Il ritorno è memoria, la memoria è madre della poesia, generatrice del piccolo poema che è un canto alla morte, raccontato alla donna amata, in cui il poeta si annulla per ritrovarsi.
Il leitmotiv ripetuto quasi in ogni pagina è “fammi entrare”, per due motivi, in apparenza antitetici: godimento psicofisico e accettazione della fine, ma pure strumento di conoscenza attraverso di lei; e la conoscenza, sia in senso fisico che spirituale, è anch’essa un ritorno.
Infatti il libro inizia con versi emblematici, sembrano un esergo, logo e preludio:
Noi siamo uno nell’altro nascosti / e ci apprendiamo quale l’uno il nascosto dell’altro. / Alternando, ci mostriamo quando siamo più nascosti / e ci nascondiamo quando più ci mostriamo.
La meditazione continua sulla morte, come ogni ossessione, contiene il suo contrario, la speranza che non sia vero.
[…] Niente resterà qui, niente, / non ci saranno differenze, oriente, occidente, il sacro e la tua pelle quotidiana / con quel sapore di carta zuccherata, niente, niente resterà, solo ombre, / la notte e una fine interminabile, lenta, che accompagna il nostro solito vecchio / giro di danza.
Incontriamo l’immagine della sigaretta, piccola luce accesa nel buio, ipotesi che si tratti di un nuovo inizio, anticipazione dell’alba. Anil ricorda Lode a un usignolo di John Keats: è l’usignolo eterno, archetipo platonico, come eterno è l’usignolo di Shakespeare in Romeo e Giulietta, che senza dubbio è qui, presente per chi ancora si commuove di fronte al loro dramma.
Nel rivisitare il mito biblico di Adamo ed Eva il poeta pone l’attenzione sul serpente, classico simbolo dell’ “ouroboros”, la vita circolare: il serpente è rinnovamento, poiché muta e cambia pelle. È una grande invenzione di Eva.
Altra protagonista dei versi è la sete, vitalismo e brama di vita, inestinguibile, essa stessa vita:
“[…] cose perdute e ritrovate nel suono che hanno lasciato / andandosene. Sopravvivrà a noi la nostra sete, tornerà nella terra, sarà terra assetata.”
Gli dei, afferma l’autore, ridono di noi, ma anche è vero che
[…] le circonvoluzioni / della mente non tengono conto della finitezza dell’uomo e chi ci ha destinato / a questa tortura deve avere un amore particolare per le contraddizioni.
Le contraddizioni annullano il dolore:
Contraddizione è bellezza. Bellezza è il suono di ciò che sta precipitando.”
Bellezza e vita, musica segreta delle parole sono un tutt’uno. Nel finale si aggiunge “Karuna”, in sanscrito compassione, con la grande domanda: "cosa posso fare per te?
Soltanto dopo questa, è lecita l’altra capitale domanda che chiude il libro: "Chi sono io?"
La risposta è in noi.
Alessandro Anil, laureatosi in Inghilterra, vive in Italia. Ha vinto diversi premi di poesia (Camaiore, Guido Gozzano, premio Città di Como).
È stato incluso nella rivista prestigiosa "Poesia" di Crocetti. Come recita la nota biografica, "dal 2021 è direttore artistico del centro Theatre House - Sources Research Performative Arts, con cui oltre alla direzione artistica e la formazione professionale, si occupa di educazione e integrazione nel mondo lavorativo per fasce meno abbienti.
Terra dei ritorni
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