Un uomo di carattere
- Autore: Paola Capriolo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
Un giardino di una villa nobiliare in abbandono, in apparenza niente di che. Cioè, niente che possa attirare sguardi comuni, occhi non adusi al fascino estetico della decadenza. Il pittore dilettante Daniele Bausa ne è invece attratto: non c’è giorno che non stia a rimirare l’anarchico groviglio della vegetazione del parco e non ne tragga ispirazione. Certo non può prevedere che il suo romantico fantasticare possa essere sovvertito dall’arrivo del nuovo proprietario della villa che vuole a tutti i costi riportarla all’antico splendore.
L’ingegnere Erasmo Stiler intende soprattutto fare del giardino un’opera d’arte, un’architettura geometricamente armoniosa, degna della bellissima statua di Artemide campeggiante sul luogo. Cominciati i lavori tutto sembrerebbe procedere secondo i disegni dell’uomo (di carattere), fin quando non viene a raggiungerlo una lontana cugina (un’Arteimide viva): si chiama Zelda ed è palesemente avversa alle intenzioni restauratrici di Stiler...
Sin qui la trama al netto dei sotto-testi. Seguono alcune osservazioni: "Un uomo di carattere" (Paola Capriolo, Bompiani, 1996) arruola l’imago femminile a nucleo centrale del racconto; eleggendola a emblema di salvazione e/o dannazione; a veicolo di disequilibrio e/o malia. Emissaria di una linea d’ombra attraente e respingente al contempo.
A eccezione dell’anonima protagonista de "Il doppio regno" (che soggiace a una forza tanto pervasiva quanto criptica e assoluta) le eroine dei romanzi caprioliani costituiscono un esercito inquieto e assai inquietante, fascinoso e insieme minaccioso per l’acquisito tracciato esistenziale dei personaggi maschili. Si pensi a Carmen e alla devastazione psicologica operata su Walter ne "Il nocchiero". A Tosca che in "Vissi d’amore" mina radicalmente le ferree convinzioni dell’integerrimo Scarpia. E ancora all’ombrosa Spettatrice del romanzo omonimo che insinuatasi come una febbre nella vita dell’attor giovane Vulpius ne logora i capisaldi.
In "Un uomo di carattere" Zelda non fa eccezione. La lotta ingaggiata contro la geometria (ontologica prima ancora che architettonica) dell’ingegnere Erasmo Stiler, è pervasiva e altrettanto infida.
All’interno di un sistema armonico non predisposto a contemplare, sin qui, l’altro da sé, cugina e madre assumono per Erasmo Stiler, una valenza destabilizzante, parassitaria, portatrice di un virus (quello del non calcolato, dell’imprevisto) che attenta sin dalle fondamenta l’universo che egli ha posto in essere.
Il Disordine primigenio comincia in questo modo a tessere le tele della propria rivincita.
(…) la facciata era interamente coperta di rose di tutti i colori accostate senza alcun criterio, o piuttosto con l’intenzione di produrre i più vistosi contrasti cromatici: si trattava di una vera e propria ribellione contro i nudi dettami della razionalità, di un’ingenua nostalgia di bellezza che si esprimeva in forme aberranti, suscitando compatimento e al tempo stesso rispetto. Non diversamente si presentava l’interno... Nel salotto i pochi mobili funzionali acquistati dall‘ingegnere erano sommersi da una quantità incalcolabile di suppellettili.
La seconda parte del romanzo restituisce in progress il racconto della caduta. L’ineluttabile cedimento dell’ingegnere e i capisaldi del suo mondo.
Ancora una volta, Paola Capriolo sottrae il tema dell’amore alla sua patina edulcorata, per restituircelo in declinazione cupa, di ossessione devastatrice, spersonalizzante ("Vissi d’amore", "La spettatrice"). Il sentimento – umano-troppo-umano - sperimentato nei confronti della cugina, fiacca infatti la forza di volontà di Stiler, consentendo a una donna ulteriore (dentro metafora, la Natura) di lavorargli contro subdolamente, di tramare, perché il disordine abbia di nuovo accesso al giardino (in primo luogo).
In maniera inversa al consolidarsi dell’infatuazione sentimentale, il simmetrico disegno verdeggiante che l’uomo di carattere aveva diligentemente ripristinato, ritorna inevitabilmente (?) alla sua anarchia originaria. Gli uccelli, qualche sterpaglia, l’irregolare fisionomia di una quercia bruciata e mai abbattuta del tutto, sono i segnali di una controffensiva condotta dal dionisiaco contro le forze dell’ordine e dell’armonia (apollinee).
Senza più l’inflessibile governo del proprio creatore, il giardino si ammala, quindi decade, segnando la rivalsa dell’ingovernabile e lo scacco finale dei disegni superomistici dell’ingegnere.
Rappresentativo può risultare in tal senso il brano estrapolato ancora dalla narrazione di Daniele Bausa:
D’altronde questa era forse la conseguenza di una cecità più essenziale: egli si era sempre illuso di poter sottrarsi al caso senza rinunciare all’azione, di poter trapiantare nel terreno stesso del caso la propria necessità interiore, e spesso osservando il giardino avevo dovuto riconoscere che ci era riuscito;
adesso invece tutto ciò su cui posava lo sguardo, la quercia fulminata e l’aiuola dai fiori anneriti, i fregi riaffioranti e le tane di talpa, tutto mi pareva proclamare il suo fallimento.
Il racconto vira a questa punto verso il suo climax: diviso dall’amore esclusivo delle due Artemidi l’ingegnere è posto davanti l’aut-aut: scegliere tra l’inanimata perfezione della guardiana del suo giardino che sembrerebbe richiamarlo al dovere (l’Artemide-statua) e la vitale bellezza di Zelda (l’Artemide-Zelda) che vorrebbe indurlo, di contro, a desistere, ad abbracciare la disomogenea normalità di un’esistenza comune.
Il finale non andrebbe rivelato ma, vivaddio, non siamo in un giallo: all’interno di uno specifico duale – kierkegaardiano – che non consente opzioni alternative a tesi e antitesi (aut-aut), Erasmo Stiler sceglie (?) di essere fino in fondo un uomo di carattere. Sacrificando alla volontà di potenza, l’amore di Zelda che se ne va lasciandolo alla solitudine del suo mandato di strenuo preventore del disarmonico, dell’imprevisto. E tutto ciò perché il Destino possa tirargli in ultimo, per contrappasso, lo scacco-beffa di una morte inattesa.
...Era evidente che il giardino stava scuotendosi di dosso il giogo imposto così a lungo da Stiler e lo fece, anno dopo anno, con una rapidità stupefacente, quasi avesse fretta di cancellare qualsiasi memoria della passata sudditanza...Tutti gli anni mi incammino verso quella meta percorrendo faticosamente li viale d’asfalto, ora fiancheggiato da candide vi/lette a schiera, e quando giungo davanti al cancello arrugginito scorgo un intrico di vegetazione nel qua/e mi è difficile riconoscere il luogo dove Erasmo Stiler aveva costruito le sue simmetrie. L’asimmetria della natura le ha ormai sopraffatte…
Un uomo di carattere
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