Via Toscanella
- Autore: Ottone Rosai
- Categoria: Narrativa Italiana
Ho trascorso l’ultimo scorcio del 2021 – un anno non meno fosco e concitato delle due stagioni che lo hanno preceduto – in compagnia di un aureo librino, gradito omaggio resomi alcuni anni fa. Il volume in questione s’intitola Via Toscanella e il suo autore è Ottone Rosai (1895 - 1957), noto ai più per i suoi inconfondibili dipinti urbani brulicanti di un’umanità eteroclita ed esuberante. A farmi dono di questo libro esteticamente pregevole – l’esemplare da me posseduto, comprendente oltre trenta tavole in bianco e nero realizzate dallo stesso Rosai, è la ristampa anastatica dell’edizione pubblicata da Vallecchi nel 1930 e meritoriamente riproposta dalla Libreria Marzocco di Firenze quattro lustri dopo –, fu un anziano professore di liceo, da tempo in pensione, che a Rosai aveva consacrato la propria tesi di laurea, scritta nei remoti anni della sua operosa giovinezza. Il professore è deceduto nell’autunno del 2020, annichilito anch’egli, come tanti altri, dal virus che ha fatto strame delle nostre esistenze. A lungo il libro di Rosai, allogato su uno dei ripiani della mia biblioteca, ha esibito il suo dorso polveroso; pochi giorni fa, inopinatamente, mi è preso il ghiribizzo non più di leggiucchiarlo alla rinfusa ma di compulsarlo dal principio alla fine.
Preceduto da una fraterna prefazione di Ardengo Soffici, Via Toscanella è un delizioso mosaico costituito da trentasei prose di varia lunghezza. Adoprando una lingua tersa e disadorna, a tratti rude, soffusa di toscanismi e impastata di immagini e di colori, l’autore registra le tenui variazioni dei ritmi naturali ed effigia l’umanità umile e gagliarda che affolla le viuzze, i quartieri e i caffè della Firenze dei primi del Novecento.
Spirito eminentemente contemplativo (e perciò autenticamente artistico), Rosai racconta pudicamente anche di sé, e lo fa con maggiore efficacia laddove sembra che stia parlando d’altro. Si consideri, ad esempio, lo scritto omonimo che apre il volume, nel quale è adombrato un autoritratto dello stesso pittore.
Nel descrivere Via Toscanella, dimessa e aristocratica insieme, l’autore osserva che essa «campa del suo, e non ha bisogno né di aiuti, né di riguardi». Sembra proprio di vedere l’indomito Rosai, proverbialmente melanconico e altero, che nulla chiede se non che sia riconosciuto lo spessore del suo genuino magistero artistico. E a proposito di notazioni intime, si legga con attenzione il frammento intitolato Sulla strada dell’irraggiungibile, a mio giudizio tra i brani più suggestivi dell’intera raccolta, ove l’autore rievoca la sua giovinezza scontrosa ed errabonda e il graduale maturarsi del suo credo estetico, ostinatamente proteso verso quell’ideale irraggiungibile chiamato perfezione.
Che discorra dei postumi di una sbornia, della sua cronica indigenza, delle tre piazze del suo rione, del compassato signor Creek che «venne in Italia per visitare le opere d’arte e il bel cielo toscano» o di un’alba ammirata con reverente stupore in compagnia di un amico, Rosai non dismette mai la grazia di un acre favolista, sensibile alla sacralità del silenzio e alla proteiforme bellezza del creato:
«Sono nato per amare le cose belle, la bruttezza non mi desta amore, odio la ruggine, la fuliggine, i piedi piatti, le teste ripiene».
In un’epoca come la nostra, aduggiata da una pletora di libri pretenziosi e vagamente intimidatori, molti dei quali sfornati da accigliati maîtres à penser sprovvisti di verve e di un grammo di autoironia, un libro come questo di Rosai, che senza essere un capolavoro tonifica lo spirito del lettore con la schiettezza del suo virile candore, è quanto mai prezioso.
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