La figlia del reverendo
- Autore: Flora Macdonald Mayor
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2010
“La figlia del reverendo” (Neri Pozza, 2010, titolo originale The Rector’s Daughter, traduzione di Vincenzo Mingiardi, postfazione di Benedetta Bini) di Flora Macdonald Mayor (Kingston Hill, 20 Ottobre 1872–Londra, 28 Gennaio 1932) fu pubblicato dall’Hogarth Press, la casa editrice di Leonard e Virginia Woolf, nel 1924.
Flora Macdonald Mayor era nata e cresciuta insieme alla sorella gemella Alice e ai fratelli Robin e Henry nella residenza paterna di Queensgate House a Kingston Hill nel Surrey. Grazie al padre, il reverendo Joseph Mayor, che aveva la cattedra di letteratura latina e di filosofia morale al King’s College di Londra e alla madre Jesse Grote, la futura scrittrice aveva respirato cultura fin da piccola. I fratelli Mayor, appartenenti alla tipica famiglia vittoriana, giocavano, leggevano, organizzavano piccoli concerti e spettacoli, fondando anche un giornalino, il Queensgate Chronicle. Flora aveva studiato storia a Cambridge ma i risultati erano stati modesti. Al Newnham College la giovane aveva scoperto la passione per il teatro, ma il suo sogno di calcare le scene sarebbe stato
“un’avventura breve, punteggiata di successi e delusioni”.
Nello stesso tempo Flora aveva iniziato a scrivere Mrs Hammond’s Children (1901) pubblicato con lo pseudonimo di Mary Strafford, che non ebbe alcun successo. Dopo aver avuto un fidanzato morto in India e lo scoppio della I Guerra Mondiale, nel 1919 Flora aveva iniziato la redazione di The Rector’s Daughter, storia di una donna che vede la propria vita sfiorire all’ombra di una canonica di campagna. Cinque anni dopo Leonard Wolf editava il testo presentato in una copertina azzurro e oro. Il romanzo redatto da una sconosciuta zitella di cinquant’anni ebbe subito successo e fu immediatamente ristampato. Le recensioni furono positive e Virginia Woolf scrisse a Flora complimentandosi con lei. Negli ultimi anni questo classico ingiustamente dimenticato in Inghilterra è stato riscoperto, tanto è vero che The Guardian l’ha definito come uno dei grandi romanzi del XX Secolo.
Non c’è dubbio che l’autrice descrivendo la personalità di Mary, la scialba figlia del reverendo di Deadmayne, “villaggio insignificante nelle contee orientali”, pone in evidenza ogni singola sfumatura dell’animo umano. La trentacinquenne Mary amava il luogo nel quale era nata e dove probabilmente sarebbe morta, anche perché il paese era come una persona assai poco attraente, “e lei non voleva ferirne i sentimenti”. Se il reverendo Jocelyn, 82 anni, figura smilza e solenne, tratti finemente cesellati, lo sguardo di volta in volta severo, caustico e malinconico, non passava inosservato, sua figlia Mary era in declino. I capelli scialbi, tirati severamente all’indietro, mostravano la fronte segnata da rughe premature. Mary aveva un colorito smorto, non più luminoso dei capelli. Gli occhi erano belli, però nascosti dagli occhiali. In poche parole la figlia del reverendo passava inosservata:
“era parte del villaggio come i biancospini nelle aiuole”.
La parrocchia di Deadmayne rispecchiava chi la abitava, nelle sue stanze regnavano decadimento e fatiscenza, da trent’anni in casa non si comperavano nuovi mobili, non si tappezzavano o imbiancavano le stanze, “non si sostituiva un lembo di chintz”. Eppure Mary circondata da libri che si trovavano in tutta la casa, persino sulle scale della soffitta, aveva avuto un’infanzia felice, in compagnia di tre fratelli e di una sorella, tutti più grandi di lei. Ma l’amore, anzi la passione, tanto assoluta quanto irrealizzabile, stava per bussare alla canonica e al cuore della figlia del reverendo, la quale per la prima volta nella sua vita avrebbe provato un
“fremito d’indescrivibile felicità”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La figlia del reverendo
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