Il Mont Ventoux, in Provenza, è un granitico e pietroso massiccio che si erge solitario tra le Alpi e gli Appennini per oltre 1912 metri d’altezza. La statura imponente, unita al suo monumentale isolamento lo rendono particolarmente esposto all’influenza degli agenti atmosferici: da cui deriva quindi la poetica denominazione di “Monte Ventoso” e gli altri epiteti affibbiatogli di Monte Calvo e Gigante della Provenza.
Il primo italiano a tentare la titanica impresa della scalata della vetta francese fu Francesco Petrarca, non certo un celebre alpinista delle cronache dell’epoca.
Petrarca iniziò l’ascesa il 24 aprile 1336 e la portò a termine due giorni dopo, il 26 aprile dell’allora in vigore calendario giuliano. La data, trasposta secondo l’odierno sistema di datazione fornito dal calendario gregoriano, sarebbe quindi il 9 maggio.
L’ascesa al Monte Ventoso: la prima prova di alpinismo
L’impresa epica - una delle prime testimonianze documentate di alpinismo italiano - fu eternata da Petrarca in una epistola divenuta una pietra miliare della nostra letteratura, L’ascesa al Monte Ventoso. Nella lettera, indirizzata al frate agostiniano Dionigi da Borgo San Sepolcro, il poeta descrive la scalata come allegoria del proprio cammino spirituale.
L’epistola a Dionigi, contenuta nel quarto libro delle Familiares (Familiari, Ndr), diventa dunque per l’autore un pretesto per raccontare il proprio profondo dissidio interiore. La scissione tra l’anelito al divino e la schiavitù peccaminosa offerta dai beni e piaceri terreni ai quali tuttavia il Petrarca - uomo e non Dio - non sa rinunciare.
Solo una volta raggiunta la cima del Monte Ventoso, Francesco Petrarca sembra essere finalmente libero da ogni forma d’angoscia: la fatica della scalata lo ha come depurato da ogni passione permettendogli di raggiungere una dimensione trascendentale, pura, quasi metafisica.
Aldilà dell’indubbio valore del testo letterario merita attenzione anche l’impresa compiuta da Petrarca che, oltre a essere uno dei maggiori autori della poesia italiana trecentesca, era anche un temerario camminatore. Già nel Canzoniere infatti possiamo trovare testimonianza della passione del poeta per le arrampicate montane. La riflessione interiore e l’amore dolente di Petrarca per Laura spingono l’uomo a ricercare i luoghi più isolati, i “deserti campi” dove nessun contatto umano può turbare i suoi pensieri.
Nella lirica 129 del Canzoniere dal titolo Di pensier in pensier, di monte in monte il poeta fa riferimento all’“expedito giogo” e alla sua volontà di raggiungere la cima più alta e più panoramica, dove non giunge l’ombra di nessun’altra montagna. In questa descrizione possiamo cogliere un chiaro riferimento al Monte Ventoso. Petrarca intuiva nel monte imponente, che si ergeva sino a sfiorare il cielo, un luogo che potesse fare da tramite tra lui e il divino allontanandolo dall’insidia delle passioni terrene.
“Oh, canzone”, così l’autore conclude il suo componimento “mi rivedrai oltre quella montagna dove il cielo è più sereno e lieto”.
L’ascesa al Monte Ventoso: la lettera
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Nella lettera indirizzata a Dionigi da Borgo San Sepolcro, datata 26 aprile 1336, Francesco Petrarca racconta all’amico teologo la sua alta impresa ammantandola di un significato allegorico. L’ascesa del monte si trasfonde quindi in una ricerca del divino: la montagna diventa il tramite di un dialogo profondo con Dio e, soprattutto, con la sua coscienza intima di uomo.
Nelle righe di apertura dell’epistola Petrarca confessa a Dionigi di aver intrapreso la scalata del Monte Ventoso per soddisfare una curiosità personale, avendo vissuto per lungo tempo nella zona limitrofa di Valchiusa ed Avignone, si era prefissato quell’obiettivo già da molti anni.
In seguito tuttavia confessa di essere stato influenzato anche da una suggestione letteraria. Il poeta infatti si propone di emulare l’impresa di Filippo V di Macedonia, che scalò il Monte Sant’Emo in Tessaglia secondo quanto raccontato dallo storico latino Tito Livio.
Come accompagnatore Petrarca sceglie il fratello più giovane Gherardo, che accetta con entusiasmo di partecipare all’impresa. L’epistola si apre con un incipit informale che sembra raccontare in forma cronachistica una semplice escursione domenicale:
Oggi, spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso.
Ben presto tuttavia la cronaca della scalata assume un valore allegorico - fatto che ha insinuato in molti studiosi il dubbio che Petrarca davvero avesse portato a termine l’ascesa.
L’ascesa al Monte Ventoso: analisi
Alle pendici del monte Ventoso i due fratelli incontrano un vecchio pastore che cerca di dissuaderli dall’affrontare l’impresa. L’uomo infatti racconta di aver compiuto la scalata in gioventù ma di esserne rimasto deluso: una volta in cima infatti non avrebbe provato alcuna gratificazione, ma solo “delusione e fatica”. Petrarca viene messo alla prova dalle parole del pastore, come da una tentazione malefica, ma sceglie ugualmente di proseguire.
Una volta iniziata la scalata si può notare subito una differenza nell’atteggiamento tra i due fratelli: Petrarca sale a fatica, accusa stanchezza e malumore, mentre Gherardo è più agile e svelto ed è in grado di trovare tutte le scorciatoie. Petrarca ricade più volte tra “gravi difficoltà” e giunge a costatare con afflizione che “la natura non si sottomette alla volontà umana.”
La scalata del Monte Ventoso diventa ben presto l’occasione per il poeta di compiere una profonda autoanalisi interiore e di riflettere sui fallimenti e i rari successi della sua esistenza componendo una sorta di autobiografia ideale:
Ma ecco entrare in me un nuovo pensiero che dai luoghi mi portò ai tempi. Oggi - mi dicevo - si compie il decimo anno da quando, lasciati gli studi giovanili, hai abbandonato Bologna: Dio immortale, eterna Saggezza, quanti e quali sono stati nel frattempo i cambiamenti della tua vita! Così tanti che non ne parlo; del resto non sono ancora così sicuro in porto da rievocare le trascorse tempeste.
I ricordi del poeta si fanno più intensi nel corso della salita: Petrarca ricorda che proprio quel giorno cade il decimo anniversario del suo abbandono degli studi giuridici all’università di Bologna avvenuto in seguito alla morte del padre. A queste riflessioni si mescola la certezza che la vita non sia in fondo altro che un pellegrinaggio in cui ciascuno aspira a raggiungere una propria meta. Mentre sale a fatica lungo le pendici del Monte, il poeta comprende la necessità di distaccarsi dai piaceri e dalle lusinghe terrene che lo allontanano dal suo obiettivo finale.
A un certo punto della scalata Petrarca compie un attimo piuttosto insolito per un alpinista: legge. Estrae dalla tasca un “libretto di piccola mole, ma di infinita dolcezza” che sono le Confessioni di Sant’Agostino.
Un passo in particolare delle Confessioni lo fa riflettere sulla propria dimensione interiore:
E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi.
Le parole di Sant’Agostino ancora una volta colpiscono il poeta come una folgorazione. Il Santo, già suo interlocutore spirituale nel Secretum, svolge di nuovo la funzione della sua coscienza e lo ammonisce a riscoprire la propria dimensione interiore, la profondità dell’anima a dispetto dell’apparenza vana e superficiale delle cose terrene.
E allora Petrarca guarda alla sua impresa titanica con un’amarezza malcelata, d’un tratto la scalata dell’alto Monte Ventoso perde ogni significato, non è che una visione effimera e illusoria.
Avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande.
L’ascesa al Monte Ventoso: la morale
Una volta raggiunta la cima del Monte, coronamento dell’epica impresa, il poeta comprende che la conquista della vetta in fondo non è altro che un tentativo di conoscere nel profondo se stesso.
La somma vetta della Provenza, funestata dall’implacabile Maestrale, assume quindi un valore allegorico. Sulla cima del Mont Ventoux spirano raffiche violente che spazzano via qualunque germoglio cerchi di radicarsi alla terra, creando il vuoto attorno, un deserto quasi lunare.
Un paesaggio in bilico tra realtà e mito, tra verità e leggenda. L’ascesa al Monte Ventoso di Petrarca diventa una ricerca nell’abisso insondabile dell’animo umano, e perde ben presto ogni suo legame con l’impresa alpinistica o sportiva.
Ancora adesso il Gigante della Provenza con le sue rocce pietrose sembra appartenere alla sfera allegorica del racconto. Per tutto il viaggio di ritorno, mentre ridiscende a valle, Petrarca rivolge lo sguardo dentro di sé e non al paesaggio circostante. Di tanto in tanto si volta indietro e guarda la cima statuaria del Monte Ventoso, come se rappresentasse un ammonimento supremo da tenere bene a mente in ogni giorno della sua vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Petrarca e l’Ascesa al Monte Ventoso: tra poesia e alpinismo
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