La mafia mi rende nervoso di Isidoro Meli

Al suo primo romanzo, il neo scrittore palermitano Isidoro Meli ci va giù duro in “La mafia mi rende nervoso”. La mafia è una ‘minchiata’, non esiste, è una costruzione mentale che, pian piano, svanisce con l’evolversi delle tecniche e della struttura delle organizzazioni di criminalità organizzata. Tutto ciò attraverso la voce narrante di Vittorio Mazzola, giornalista che odia la mafia e qualsivoglia costruzione mentale ingiusta.

In “La mafia mi rende nervoso”, il reporter ha un intervistato d’eccezione: Tommaso Traina, il giovane figlio del pregiudicato veterano Gabriele Traina, ucciso sulla veranda di casa per un regolamento di conti. Portapizzini per caso, il giovane fenoneno, con un fratello spacciatore, Ciccio, e una madre trincerata nel suo dolore, è chiuso in un suo mondo senza parole. Fu lui a trovare il corpo irriconoscibile del padre trucidato. Un viaggio tra catene ecclesiastiche, amori tossici e messaggi enigmatici ed inquietanti, condurrà Tommaso non solo a ritrovare la parola ma anche a scovare ed uccidere Alessandro Maniscalco, il killer a sangue freddo del capofamiglia. La storia, però, non finisce qui. Sullo sfondo si muove anche uno sbirro, fuori dalla norma, che riuscirà a conquistarsi la fiducia di Tommaso e, così, ad accalappiare chi non ha mai smesso di uccidere a sangue freddo.

È un romanzo bizzarro, quello di Isidoro Meli. Il racconto di una mafia mai narrata da un’angolazione tutt’altro che scontata. Tanto da non lasciare indifferente. Anzi, ciò spinge il lettore ad approfondire delle dinamiche sì note, ma attraverso aspetti tutt’altro che definiti. Tutt’altro. Lo stesso finale raccontato da Mazzola è aspro, duro, inevitabile. A tratti quasi posto come una giustificazione all’operato di tutti i personaggi, buoni e cattivi. Una trama sospesa che non è affatto terminata. Probabilmente “La mafia mi rende nervoso” è solo la punta dell’iceberg.