1918 I giorni perduti
- Autore: Paolo Pozzato
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2004
“Mancò la coesione non il valore: la resa austroungarica”
Abbandonati dalla buona sorte, traditi dai governanti, battuti da un nemico - gli italiani – che ingenerosamente continuavano a considerare inferiore. È così che la pensavano i combattenti austroungarici sul finire della prima guerra mondiale. Fin dall’inizio, covavano l’odio per il nostro “tradimento”, il voltafaccia della dichiarazione di guerra all’imperatore, dopo trent’anni di alleanza nella Triplice. Questi i sentimenti prevalenti, come si legge nei testi proposti nell’antologia “1918. I giorni perduti” , prima edizione nel 2004, nella tipica veste tipografica delle Edizioni Itinera Progetti (2004 - 400 pagine 21 euro).
Le ultime quattro settimane di guerra dell’esercito austroungarico, pagine mai considerate, che vengono alla luce per una intuizione soprattutto di Paolo Pozzato, insegnante veneto di storia e ricercatore instancabile. Da parte italiana e quindi dalla parte dei vincitori, non si è mai data attenzione al punto di vista degli sconfitti. Prima il fascismo si impegnò ad esaltare l’offensiva vincente verso Vittorio Veneto e l’antico confine di Stato perduto con la ritirata di Caporetto. Poi, dal secondo dopoguerra, l’interesse si spostò alle vicende raccontate dai singoli, tanto italiani che stranieri, a cominciare da Fritz Weber, ufficiale austriaco sul fronte alpino e carsico, autore di un ciclo di eccezionali volumi sull’intero conflitto, vissuto da protagonista.
Mancava però una lettura della versione del “nemico” o meglio dei nemici, perché nel caso della ex duplice monarchia, per ragioni politiche, patriottiche e nazionalistiche si sono divaricati col tempo i punti di vista austriaci da quelli ungheresi, sebbene tutti relativi a una condotta militare che li aveva visti fianco a fianco nelle armate dell’Imperial Regio esercito asburgico.
Si è dovuto doppiare il Duemila, perché uno studioso appassionato come Pozzato raccogliesse varie testimonianze in questa antologia sulla fase terminale della Grande Guerra, dalla parte delle truppe in rotta. Per realizzare il ricco volume della casa editrice bassanese, si è avvalso della collaborazione di un esperto del mondo militare austrotedesco, Marco Rech e dello straordinario repertorio fotografico messo a disposizione dal collezionista Ruggero Dal Molin.
Proprio nelle tante foto in bianco e nero che corredano il testo, si può osservare un esempio significativo della carenza desolante di materie prime dall’altra parte delle linee negli ultimi mesi di guerra. Una chiara e inedita dimostrazione delle difficoltà patita dalle Potenze Centrali, strangolate dal blocco navale: un camion con i telai delle ruote privi di copertoni. Era costretto a circolare senza pneumatici, lentamente, rigidamente.
Tra i testi di tante fonti austriache e ungheresi sul fronte italiano, il volume propone il raro contributo del generale Ernst Horsetzky, ma uno dei documenti più nitidi sono le memorie di un ufficiale di artiglieria, Michael Schoss, giunto sul finire del settembre 1918 nella zona di Belluno. Un mese più tardi viene coinvolto nella ritirata delle truppe austroungariche dopo i combattimenti sul Grappa e sul Piave che consentirono agli italiani di dilagare nella pianura veneta, ben coadiuvati da reparti anglofrancesi. Sullo sfondo delle sue franche testimonianze, si nota la condotta tecnologicamente evoluta del nostro esercito, cresciuto soprattutto nell’ultimo anno di guerra come una delle compagini più moderne del conflitto. Più che inseguire il nemico a piedi, i nostri serravano sotto con veloci autoblindo e automitragliatrici, che aggiravano ai fianchi i reparti nemici in fuga, li sorpassavano audacemente. Dal disorientamento delle colonne austroungariche, si ricava la condotta aggressiva dell’aviazione, della cavalleria, dei nuovi contingenti motorizzati, mobili e temuti.
Il 4 novembre 1918, il reparto di Schoss è raggiunto da bersaglieri ciclisti, giustamente cauti. L’armistizio è in vigore, inutile farsi uccidere. Sono però gli scozzesi che mettono in fila i prigionieri e li scortano indietro. I civili italiani sono impietosi con i nemici vinti: al passaggio sono sputi, lanci di oggetti e sterco, anche da parte dei bambini.
Un ufficiale americano annuncia che saranno lasciati liberi di tornare a casa. Ovviamente non è così e continua il lento scivolare a ritroso. Tra gli austroungarici intanto la disciplina è crollata e si dà apertamente agli ufficiali la colpa di aver mandato in rovina una grande macchina da guerra.
I soldati italiani in genere non hanno con loro un atteggiamento corretto e saccheggiano quanto trovano addosso. Peggio ancora fanno i serbi ai quali sono consegnati. Implacabili con gli sconfitti.
Fino al 9 novembre non un pezzo di pane, ma anche in patria è lo stesso. Non sono i soldi a fare difetto, manca tutto il resto.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: 1918 I giorni perduti
Lascia il tuo commento