La chiave dell’Altopiano
- Autore: Paolo Pozzato Ruggero Dal Molin
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
In guerra, è un esercizio inutile perdersi tra i “se”, i “ma”, i “forse”. Ma se la dorsale del Portule sugli altipiani vicentini non fosse caduta in mano austriaca nel maggio 1916, non ci sarebbe stata un anno dopo l’esigenza di andare a cozzare inutilmente contro l’Ortigara, sacrificando 28.000 uomini. L’Alto Comando doveva stornare le responsabilità, intanto e qualcuno doveva pagare, la resistenza inefficace, come Paolo Pozzato e Ruggero Dal Molin spiegano nel libro “La chiave dell’Altopiano” (Itinera Progetti, Bassano del Grappa, 2016, pp. 178, euro 21,00). Occorreva un capro espiatorio per la sconfitta decisiva della Strafexpedition e fu cercato in un semplice maggiore di fanteria, Carlo Gleyeses, comandante del II battaglione del 206° Reggimento della Brigata Lambro. Ad agosto del 1916 finì davanti alla Corte Marziale, accusato dell’abbandono volontario di Cima Portule. Sulle sue sole spalle si voleva far ricadere la colpa del pesante condizionamento tattico durante tutto il resto della guerra; la pesante minaccia austriaca alla pianura vicentina e alle armate sull’Isonzo, costituita dalla lunga dorsale che poche compagnie decimate avevano lasciato agli austriaci la notte tra il 23 e il 24 maggio 1916.
Nell’esercito del generalissimo Cadorna si anticipava il cliché che sarebbe stato rinnovato per Caporetto. Anche allora, i vertici addossarono la rotta ad uno “sciopero militare” dei soldati, una presunta mancata bellicosità, non a ragioni intrinseche, come gli errori del Comando e la condotta sanguinosa della guerra.
Semplicemente, al 206° era stato affidato un compito irrealizzabile – osservano gli autori - quello di “apprestare a difesa” la linea di cima, sotto la pressione dall’offensiva nemica e con poco più di 2.000 uomini senza attrezzature. Non poteva essere fatto in pochi giorni quello che il Genio d’Armata intero non aveva saputo realizzare in più di un anno.
La caduta consentì agli austroungarici di penetrare nella conca di Asiago e occupare posizioni che lasceranno solo con l’armistizio del 1918. La necessità di tornarne in possesso, per resistere a nuovi tentativi del nemico di sfondare verso la pianura veneta, spinse alla disfatta dell’Ortigara e all’inutile sacrificio della 6° Armata.
Ma le colpe non erano e non saranno degli soldati e ufficiali in linea. Furono i generali a fare il bello e soprattutto il cattivo tempo. Brusati, comandante dell’Armata di zona, sottovalutava l’annunciata Strafexpedition, la considerava solo un bluff. Nel territorio che subì l’impatto offensivo, tra il trentino meridionale e il vicentino, gli apprestamenti c’erano, ma solo in prima linea: un gigante dai piedi d’argilla. Avanti erano stati allestiti con dovizia di mezzi, ma le posizioni retrostanti non erano affatto munite. Ripiegando su Asiago, come accadde, le truppe italiane non avrebbero trovato trincee e reticolati sui quali poggiare una resistenza arretrata. E i soli ostacoli naturali non bastavano a fermare l’urto nemico.
D’altra parte, con la leggerezza che si ripeterà sull’Isonzo, tutta la linea era predisposta in modo da favorire l’ennesimo assalto dei nostri, non a contenere una grande offensiva. Lo stesso addestramento delle fanterie grigioverdi puntava sulla controffensiva e trascurava la saldezza difensiva. Tanto fece sì che l’attitudine dei reparti nemici di sfruttare il successo locale aggredendo i punti deboli senza preoccuparsi d’avere i fianchi coperti - priorità invece per i nostri – si trasformasse in una micidiale capacità di penetrazione: materializzandosi alle spalle dei difensori favorivano la sensazione scoraggiante dell’accerchiamento. Vincolati agli elementi sconvolti delle loro difese campali, i reparti non riuscivano a sostenersi reciprocamente. La soluzione sarebbe stata non agganciarsi alle postazioni difensive e combattere negli spazi intermedi, manovrando anche se aggirati, ma era un tipo di combattimento che non si poteva improvvisare. Sicché i fanti si sono battuti, dimostrando in effetti un valore straordinario, ma del tutto inutile, fanno rilevare Paolo Pozzato e Ruggero Dal Molin. Avvolti e demoralizzati, senza ordini e collegamenti, non restava loro che arrendersi, spesso dopo avere esaurito l’ultima cartuccia.
Lo stesso maggiore Gleyeses dovette ripiegare anche per l’esaurimento delle munizioni e dopo un’energica azione di comando sua e degli ufficiali subalterni della Lambro. È quello che si legge nella sentenza della Corte Marziale, la cui dettagliata analisi delle vicende e responsabilità è acutamente analizzata in questo volume, con lo straordinario corredo di rare immagini fotografiche della prima guerra mondiale, in particolare dell’ampio Archivio Dal Molin.
La chiave dell'Altopiano. Maggio 1916: la caduta di Cima Portule, la battaglia decisiva della Strafexpedition
Amazon.it: 19,95 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La chiave dell’Altopiano
Lascia il tuo commento