Amatissime
- Autore: Giulia Caminito
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Giulio Perrone editore
- Anno di pubblicazione: 2022
Elsa Morante, Paola Masino, Natalia Ginzburg, Laudomia Bonanni, Livia De Stefani, sono loro le Amatissime protagoniste di questo libro.
Se vi domandassi i nomi di grandi scrittrici italiane del Novecento scommetto che non riuscireste ad arrivare a dieci. Elsa Morante, Natalia Ginzburg, qualcuno potrebbe timidamente accennare anche ad Anna Maria Ortese, Grazia Deledda o Matilde Serao, ma con un tono sommesso, perché spesso queste autrici sono assenti nelle principali antologie scolastiche studiate alle scuole medie o al liceo. Ci si imbatte nei loro nomi quasi di sfuggita, per caso o per sbaglio, se ne legge qualche racconto oppure l’estratto di un romanzo, perché il tempo di approfondire in classe è sempre poco. Gli insegnanti scalpitano per terminare il programma che, neanche a dirlo, è affollato di autori uomini: Gabriele D’Annunzio, Italo Svevo, Cesare Pavese, Alberto Moravia. Sono loro il Novecento, incarnano i libri imprescindibili della nostra letteratura, i capolavori indiscussi, i capisaldi che hanno forgiato il sacro canone letterario. Le donne sono relegate ai margini, anche se hanno scritto un capolavoro immortale come La storia. La letteratura femminile, nello specifico i libri scritti dalle donne, è immersa nell’abisso della dimenticanza: certi romanzi sono considerati inferiori solo perché scritti da autrici e non da autori. Morante stessa volle fregiarsi dell’appellativo di “scrittore” perché considerava la declinazione al femminile un tentativo di sminuire il valore della sua opera. Secondo la concezione dell’epoca le “scrittrici” davano alle stampe romanzetti di tema amoroso, ma i romanzi, quelli “veri” ovvero impegnati, erano scritti da uomini. Elsa Morante, cosciente del valore della sua scrittura, chiese quindi di essere chiamata “scrittore”. E lo stesso appellativo è inciso oggi a caratteri cubitali sulla tomba di Oriana Fallaci al cimitero degli Allori di Firenze.
La verità è che i nomi di Morante, Ginzburg, Ortese, Deledda non sono che la punta dell’iceberg. Sotto di loro si spalanca un baratro: un lungo indice di nomi spesso depennati o rimossi dalle logiche imperscrutabili del mercato editoriale. La storia delle donne è come una scala discendente, scesa con riluttanza, che trova le sue fondamenta nell’oscurità nera dell’oblio. Perché la dimenticanza, non possiamo negarlo, è una “questione di donne”: sono sempre loro le più dimenticate, quelle relegate ai margini, cancellate dai libri di storia oppure poste di contorno poiché non erano condottiere, generali o cavalieri, non gestivano la scacchiera politica ed economica delle sorti mondiali. Eppure lo sono state: regnanti, cavalieri, papesse, artiste, pittori, scrittori, architettrici e poete, ma solo oggi iniziamo a riconoscerlo. Come si ingaggia una lotta contro l’oblio delle donne nella storia? Come si salva una scrittrice?
La risposta ce la offre l’ultimo volume della collana Mosche d’Oro Amatissime (Giulio Perrone editore, 2022) scritto da Giulia Caminito.
Vidi per la prima volta Giulia Caminito a una presentazione in una libreria romana dedicata alle "maestre del racconto". Era il 2018 e io ancora non sapevo che lei fosse una scrittrice. Quella sera parlava di Livia De Stefani e della sua raccolta di racconti Viaggio di una sconosciuta, appena ripubblicata dalla casa editrice Cliquot.
Ne parlò così bene che mi convinse a comprare il libro e, neanche a dirlo, mi innamorai all’istante di quella scrittura di cui “si sentono i tuoni sin dalla prima frase”.
Giulia Caminito nel frattempo ha scritto altri libri che ho avuto modo di leggere e apprezzare, ha vinto il premio Campiello 2021 con L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani), ma per me in qualche modo la sua figura è sempre rimasta legata a quella presentazione in una libreria romana nel quartiere San Lorenzo in cui parlava, tra l’altro, di un libro non suo.
Curiosamente la ritrovo ora in questo libricino che si conclude proprio con un capitolo dedicato a Livia De Stefani, la grande “Sconosciuta” del nostro Novecento letterario. Lei è l’ultima delle Amatissime, colei che rappresenta il lascito, l’eredità, la memoria da tramandare ai posteri.
Delle autrici raccontate quella sera, Livia De Stefani era la sola ignota al pubblico. Le altre erano scrittrici americane o inglesi, tutte famose: Flannery O’Connor, Grace Paley, Eudora Welty. De Stefani era anche l’unica scrittrice italiana. Ma le scrittrici italiane del Novecento si possono contare sulla punta delle dita: non possiamo infatti ignorare che il canone letterario abbia privilegiato gli autori uomini e condannato le donne a sparire nella “carta da impastare”.
L’ultimo libro di Giulia Caminito Amatissime, in bilico tra saggio e memoir, ruota attorno a due interrogativi che lacerano la pagina e ne fuoriescono come un grido: "Come funziona questa regola dell’oblio, chi la decide?" E non da ultimo: "Come si tiene in vita una scrittrice?".
Le pagine che seguono sono un tentativo di dare una risposta. Un viaggio nel tempo, uno scavo speleologico attraverso gli archivi della dimenticanza per afferrare ciò che non si è dileguato.
Ciascuna autrice scandisce un momento preciso della vita di Giulia Caminito, l’io narrante, che a sua volta è diventata scrittrice seguendo le orme delle grandi antenate. Elsa Morante rappresenta l’infanzia: sua è infatti l’immagine che troneggia, come una Dea protettrice o una zia amorevole, sopra il capo inconsapevole di Giulia bambina che gioca ai piedi della foto considerandola l’immagine di una lontana parente. Scopriamo una Elsa diversa da quella raccontata nelle antologie, poiché queste pagine ci consegnano una Morante bambina, piccola e anemica, dai “capelli come ali di corvo” e la faccia pallida da “bambola lavata”, lasciandola a un passo dal diventare la Morante scrittrice. Viene valorizzato in particolare il primo romanzo da lei scritto durante l’infanzia Caterì dalla trecciolina, la storia illustrata di una bambola che Elsina decise di vendere, con un curioso spirito imprenditoriale, al prezzo popolare di 2,10 lire. Morante tornerà poi come uno spirito nella vita di Giulia, segnandone le tappe del cammino di scrittrice come una presenza fissa e tuttavia evanescente: dopo il suo trasferimento a Roma, Caminito si troverà a vivere nello stesso stabile del quartiere Testaccio in cui aveva vissuto Elsa che ora le appare non più come una vecchia zia, ma come un nume tutelare. Nessuna coincidenza è casuale, e la Giulia scrittrice lo sa.
Sono sempre stata convinta che le coincidenze fossero come delle epifanie nella mia vita, dei ritorni magici, delle apparizioni d’improvviso, un modo in cui il mondo mi diceva: stai facendo la cosa adatta; ma poi ho capito (...) Le mie coincidenze non sono che volontà, incapacità di lasciare andare.
C’è poi Paola Masino, che rappresenta l’adolescenza. Nella sua figura convergono la passione per la moda di Giulia, lo stesso carattere ribelle e al contempo tenace. Da un lato ripercorriamo la vita tumultuosa di Masino, tra abiti variopinti e cappelli piumati che poi si sostituiscono a nuovi vestiti dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale poiché era impossibile tornare a indossare gli abiti di prima “quel mondo era finito”. Dall’altro scopriamo Giulia Caminito ragazza che insegue le medesime passioni per la scrittura e per la moda, tra bozzetti disegnati, zaini con gli orsetti e magliette con le pailettes, sino a trovarsi a un bivio: scegliere gli studi in filosofia oppure coltivare le aspirazioni di stilista? Tutto torna, infine, a confluire nell’immenso calderone della scrittura in cui ribollono le idee e i sogni. Il romanzo più intimo di Paola Masino, Album di vestiti, fu pubblicato postumo e Giulia Caminito, come in uno specchio riflesso, decide di raccontarla partendo proprio da quelle pagine. Per tutta la vita, nonostante il grande talento come autrice, Masino fu considerata la compagna di Massimo Bontempelli: e lei dedicò i suoi ultimi anni a consacrare la memoria di lui, abdicando alla propria.
Il filo della memoria ci lega a Natalia Ginzburg e alla sua struggente poesia, dedicata al marito Leone Ginzburg, ucciso per mano della Gestapo. Caminito ci svela una Natalia ignota ai più: dapprima smarrita per le strade di una Roma devastata della guerra, poi editor di punta e traduttrice per la grande casa editrice Einaudi. Il lavoro di Natalia editor si sovrappone così a quello di Giulia che, a venticinque anni, inizia a muovere i primi passi nel mondo editoriale romano: un mondo complicato, una giungla, una selva insidiosa. Un parallelismo duro - ma veritiero - svela la spaccatura netta tra l’editoria di ieri e l’editoria oggi, rivelandone inaspettatamente anche i punti in comune:
Dalle lettere della Ginzburg scopro che i problemi in casa editrice non erano così diversi da quelli di oggi: le cose andavano male per lunghi periodi, l’umore era pessimo, si facevano tagli al personale, le traduzioni erano pagate molto poco e le donne erano pubblicate meno, considerate meno.
Con Ginzburg salutiamo l’ultima grande scrittrice nota e ci prepariamo a immergerci nei fondali, proprio sotto l’iceberg, nell’abisso profondo dell’oblio. La ricerca si fa più interessante quando scopriamo il nome ignoto - e indimenticabile - di Laudomia Bonanni. Questa scrittrice ci viene presentata come un mistero e la sua curiosa vicenda esistenziale ed editoriale avvince e intriga. Indagando il mistero della scrittrice che improvvisamente “aveva smesso di scrivere”, Giulia Caminito indaga anche sé stessa scoprendo le regole di un mestiere che diventa anima, ti assorbe e infine ti identifica senza scampo.
Il tuo ultimo romanzo viene rifiutato e con lui anche tu, la donna che sei stata.
Caminito scava a fondo per far emergere le ragioni del rifiuto e ci restituisce intatto quell’ultimo romanzo, la chiave del mistero, che porta il titolo La rappresaglia e contiene una domanda che sembra rivolgersi direttamente a noi, al nostro incerto presente.
Infine il cerchio si chiude con lei, la grande Sconosciuta, Livia De Stefani. La scrittrice siciliana enigmatica e inafferrabile che è “Dea e Amazzone, insieme ninfa e creatura celeste”. Giulia Caminito ne ricostruisce la biografia attraverso le carte ordinate con cura dentro gli scatoloni, i manoscritti con le note a margine, i ritagli di giornale, la macchina da scrivere turchina, le testimonianze delle nipoti che la chiamavano affettuosamente “Nuna”. Da un corpo “di carta e fogli e di ore chiuse dentro una stanza a scrivere” ecco che emerge un corpo di donna. Livia De Stefani avrebbe voluto essere scoperta e ritrovata? La memoria non è di per sé stessa una ricostruzione, forse fallace, degli eventi?
I dubbi permangono, ma una certezza rimane: la consapevolezza consolatoria di aver fatto luce, di aver aperto almeno uno spiraglio sul passato. De Stefani aveva ordinato le sue carte una ad una, le aveva spillate e riposte con cura nelle scatole, forse non solo per conservarle ma perché sperava che qualcuno un giorno le trovasse e si sforzasse di decifrare la sua grafia stretta e lunga, che è una traccia - personalissima e irripetibile - del vissuto.
Amatissime è in fondo una storia d’amore, parla di quell’amore esclusivo, totalizzante in cui ci si identifica e che aiuta a crescere. Perché diventiamo grandi imparando, ma soprattutto imitando: l’apprendimento è emulazione, il tentativo di adeguarci ai modelli che ci siamo dati e che abbiamo scelto di seguire, ricalcandone le impronte nei nostri passi incerti attraverso gli ostacoli e i guai della vita.
Un libro che è anche un’indagine letteraria, ricca di misteri e di svolte impreviste. A ben vedere Amatissime è un romanzo sulla memoria: la memoria del vissuto e dello scritto. Giulia Caminito ricostruisce le scrittrici del nostro Novecento servendosi delle loro “ossa di carta” e attraverso la sua vita cerca di infondere a ciascuna nuova esistenza donando respiro e fiato con le parole, la traccia più duratura. Il senso della memoria e del tempo è tutto qui: ci aggrappiamo al passato per capire questo presente che ci sfugge tra le dita continuamente, scivola via e non si lascia trattenere.
Si può cogliere tra le righe un’inquietudine impellente: Come fare a salvare? Come fare a salvarci?
Amatissime
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Mi piace la vostra recensione. Penso che quando quello dello scrittore diventa o vuole essere un lavoro come un altro, si finisca, inevitabilmente, col ricomporre la memoria solo attraverso le tracce che i tanto amati hanno lasciato nella carta. Ci insegna che l’amore diventa possibile anche a distanza, in assenza, senza mai alcun contatto reciproco tra i soggetti amanti e quelli amati.