Baci a occhi aperti. La Sicilia nei racconti di una vita
- Autore: Matteo Collura
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
Sulla genesi dell’opera Baci a occhi aperti. La Sicilia nei racconti di una vita (TEA, 2020) è lo stesso autore, Matteo Collura, a offrire la spiegazione nella “Nota dell’Autore”:
Questo libro è nato dalla richiesta di alcuni miei lettori. Perché non scrivi un altro libro sulla Sicilia? Pressappoco questa la domanda. Un altro libro sulla Sicilia? Dopo tutti quelli che ho già pubblicato, mi è sembrato troppo. Così ho pensato di mettere insieme, nella maniera più ordinata e leggibile, quanto ne ho scritto sinora, togliendo qualcosa e aggiungendo qualcos’altro.
Dà poi chiarimenti sul titolo che indubbiamente piace:
“Baci a occhi aperti”: i tanti baci che ho dato alla Sicilia sempre costringendomi a non chiudere gli occhi, assaporandone il piacere. In ogni parte di questo libro appare evidente, o dovrebbe apparire, perché questa è stata la mia costante intenzione, lo sforzo di descrivere la Sicilia “per quello che è”, tenendo a freno l’orgoglio d’esservi nato e l’amore che si ha - specie se siciliani – per la terra d’origine. Provo a dirlo così: è come se nel baciarla, la Sicilia, mi fossi sforzato di tenere gli occhi aperti, continuando, pur nella voluttà, a notarne guasti e difetti.
Lo sguardo di Collura vuole perciò essere in “vitro”: quanto più obiettivo e distaccato per cogliere le carenze dovute alle cattive gestioni amministrative e politiche, individuate nel pessimo uso dell’autonomia regionale di cui Sciascia nel 1969 aveva annotato il fallimento, essendosi costituita come un privilegio concesso alla classe borghese-mafiosa. Alla linea del miglior saggismo sulla cultura siciliana si può ricondurre questo libro, i cui godibilissimi testi abbiamo letto nelle precedenti opere. Quelli pubblicati per la prima volta sono “Naro”, “Capo Calavà”, “L’isola ferdinandea” (“tranne un piccolo brano tratto da “In Sicilia”), “Taormina”. “Cefalù”, un testo in gran parte rimaneggiato, pubblicato nel 2012 come nota al libro fotografico di Angelo Pitrone (Salvatore Sciascia Editore).
A dirla con Sciascia, è il godimento del tutto singolare che dà la letteratura quando l’intelligenza e l’”esprit” vi si intessono. La Sicilia chiama sempre l’attenzione di Collura con un godimento del tutto singolare, pur rappresentando spesso il suo rovello che gli suscita tante domande:
Perché la Sicilia è così condizionante per coloro che vi nascono e vi abitano? Perché, come si legge nel “Gattopardo”, i siciliani sono convinti di essere creature perfette? Perché sono portati a credere a una simile sciocchezza? Cosa hanno di diverso dai lombardi o dai liguri? Cosa li autorizza a ritenersi diversi – perché più intelligenti, a sentir loro, meglio vaccinati contro la violenza della vita – dai toscani o dai piemontesi?.
La risposta è trovata – scrive Collura - in quella che Vitaliano Brancati ci ha lasciato nel suo Diario Romano:
Noi siciliani siamo soggetti ad ammalarci di noi stessi: un male che consiste nell’essere contemporaneamente il febbricitante e la febbre, la “cosa” che soffre e quella che fa soffrire.
La conferma di quanto ha annotato l’autore del Bell’Antonio gli è data da Bufalino:
Terra infelice, che ogni mattino a chi ci vive e ne scrive impone lo stesso monotono dubbio: se gli convenga, tappandosi occhi ed orecchie, eleggerla a proprio eroico eliso; o se debba mischiarcisi, inzupparsene, ammalarsene, come innamorato che in un grembo infetto cerca di proposito l’assoluto di un’estasi e d’una morte.
Ad accomunare gli scrittori è la vena di un limpido scetticismo, di ironia e di autoironia. Si potrebbe intravedere una fatalità verghiana o il principio di Lampedusa del mutar tutto affinché nulla cambi.
Non ha peli sulla lingua Collura a parlare della Sicilia come una “frontiera”, “come una sorta di far West d’Europa, dove si annidano le trappole della storia”, dove il diritto è umiliato e sconfitto:
Una frontiera la Sicilia, e perciò luogo ideale per tagliagole e furfanti, avventurieri e fuorilegge, materia prima di cui si serve la mafia per esercitare il suo nefasto primato.
Non può non parlare dei morti ammazzati: carabinieri, poliziotti, magistrati, politici, giornalisti. Il tono è acceso e a soccorrerlo è ancora Gesualdo Bufalino con una modalità espressiva onesta e autentica:
Non so se altri luoghi in pari misura, ma la Sicilia – causa ne sia un eccesso o un difetto d’identità – non fa che investigarsi e discorrere permalosamente di sé. Sofistica, interrogativa, superba, ora si presume nazione e ombelico matematico dell’universo; ora si accascia in una sorta di rancoroso stupore, che solo rompono di tanto in tanto fulmini di bellissima intelligenza.
Eppure il fascino paesistico e paesaggistico è quella di una terra impareggiabile.
Tale è stata la rivisitazione in immagini di assoluta purezza e intensità che già Collura, e anche lo stesso Bufalino ne L’isola nuda (Bompiani,1987), aveva fatto nell’opera Sicilia sconosciuta. Itinerari insoliti e curiosi (Rizzoli, 1998).
Tragica e visionaria insieme la Trinacria, fonte effettiva della sua ispirazione, e credo che valga la pena di seguirne l’itinerario attento, ammaliante e pungente. Sicché, un ritratto di luoghi, di personaggi, di paesi s’impone con finezza e sottigliezze allo sguardo del lettore in “un sistema di isole contenute in un’isola”. Leggiamo la pagina del capitolo VIII in cui si incontra la descrizione di Naro:
Poggiante su un colle di ampia vista, […] assomiglia a molte altre città della Sicilia: per ariosa disposizione, medievale struttura, disordinato affollarsi – oggi – di invadenti edifici. Una cartolina panoramica degli anni Trenta la mostra simile ad Agrigento, quella di allora, si capisce, il capoluogo che fino al 1927 era nominato (e sembrerebbe un’invenzione di Pirandello) Girgenti. Fa pensare la Naro di quella cartolina, anche ad Agira, nell’Ennese, e a Castiglione nel Catanese, e insomma a tutti i paesi – e sono tanti – che in Sicilia dominano, un tempo per scopi difensivi, colli e speroni rocciosi.
Il discorso si fa etico-civile, giacché è il degrado del suo patrimonio architettonico e artistico che colpisce lo sguardo estetico dello scrittore.
Collura, che ha contemplato il roccione di Capo Calavà lungo la costa che da Messina corre verso Palermo e che nella vicina Capo D’Orlando ha ammirato il parco di villa Piccolo, non resta indifferente all’incuria degli uomini: Sicilia perciò “negletta” e “sottovalutata”.
Gustosissimo per come è scritto appare il capitoletto su Taormina: da Goethe a Lawrence, che con la moglie Frieda vi giunse per la terapia del fisico debilitato, al fotografo tedesco di fine ottocento Wilhelm von Gloeden e a Oscar Wilde, la fisionomia della “selvaggia natura rupestre”, si fa eleganza, raffinatezza, sensualità malgrado l’ammasso di disordibnati palazzi e villini. In sostanza, questo libro non è soltanto una quasi raccolta di saggi brevi già pubblicati, anche se nasce dalle precedenti pubblicazioni: è il completamento delle storie letterarie e antropologiche della Sicilia.
Con una scrittura secca e lampeggiante, Collura dà così testimonianza di una storia “vera” senza ipocrisie e infingimenti. Si può allora pienamente condividere la conclusione cui questo saggio appassionato e illuminante perviene nell’ultimo scritto intitolato “L’isola Ferdinandea”:
Quante volte, in Sicilia, mi è capitato di camminare intorno: così, giusto per camminare. E quante cose ho scoperto in quanto andare senza meta, girando a vuoto. Forse il viaggio in Sicilia più gustoso da fare è proprio questo di Arbasino, alla ricerca dell’Isola Ferdinandea; l’isola che un tempo è esistita, l’isola che, forse, c’è stata. Che c’è ancora. L’isola evocata dalla smaniosa indolenza.
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