Cattivo di Alessandro Berselli

Crescere, che fatica.
Lavati, fai i compiti, studia, riordina la camera, gioca poco col computer, lascia stare il gatto, aiuta la nonna, vai a letto che domattina devi alzarti presto. Magari per fare una corsetta in riva al lago, che bella la brezza mattutina certo, subito dopo che avrai portato via la spazzatura e portato il cane a fare i bisogni.
E sorridi, mi raccomando.
Bello, vero? Sapete cosa ha che non va, nella descrizione di poche righe sopra? Esatto, è assolutamente irreale. Chi non ha mai provato rabbia, delusione, rancore, ira; chi non avrebbe voluto spaccare la testa al cattivo di un film, oppure frantumare le ossa al compagno di scuola che ci ha soffiato la ragazza che amava, solo per il gusto di slinguazzarsela al cinema e poi scartarla come una ciabatta vecchia usurata dal tempo? Cos’avreste voluto fare?
Una bella chiacchierata pacifica? L’avreste "intortato" con espressioni in uso nell’Italia del tredicesimo secolo? Quasi sicuramente avreste optato per un bel pugno sul muso, vero? O, magari, ucciderlo.

Alessandro Berselli in “Cattivo” (Perdisa Pop, 2009) prende le sue ombre più cupe e lucenti e le fa risplendere su carta immacolata: il risultato? Certo, potrei descrivervelo, però credetemi, le mie parole non renderebbero giustizia all’arte del buon Bers, un’arte che vi ammalierà con parole semplici eppure devastanti, un effetto che ogni autore vorrebbe avere sul proprio pubblico.