Danse macabre
- Autore: Stephen King
- Genere: Horror e Gotico
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Frassinelli
- Anno di pubblicazione: 2016
La prima volta che mi è capitato a tiro un romanzo di Stephen King è stato in una libreria di Catania, quando “Shining” non si intitolava ancora “Shining”. Correva il Settantotto dei mondiali di calcio d’Argentina e nell’edizione Sonzogno, “Una splendida festa di morte” (il titolo italiano con cui “Shining” era stato tradotto) sfavillava di una copertina pop-spettrale. Attraente e apprensiva al contempo, come un giro nel tunnel dell’orrore al luna park. Comprai il libro e la scrittura del “Re” seppe fare il resto: da implume divoratore di letteratura horror, giuro che mai, prima di allora, mi era capitato di leggere qualcosa di tanto potente. Non ho più perso di vista un romanzo che fosse uno di Stephen King, questa è la storia.
A prescindere dai temi con cui si misura (in maniera inesausta, quasi muscolare), Stephen King è uno scrittore autentico, tra i più significativi del Novecento americano. Se non siete lettori (o criticoni) del tipo puzza sotto il naso & pregiudizi letterari, non venite certo a saperlo da me. Allora mettiamo un attimo da parte il refrain sui fantasmi e le cose che strisciano sotto il letto: lo specifico kinghiano è di più: è mitopoiesi allo stato puro, è il romanzo a stelle e strisce vergato a puntate, è la vena fertile dei maestri Robert Bloch-Ray Bradbury-Richard Matheson (e quant’altri) declinata in taglio e passo autonomo e fiammeggiante. La forma di King tintinna come moneta di oro zecchino (suona, letteralmente) e riguardo a peso specifico, i sotto-testi dei suoi bestseller ne sommano più di quanto si intraveda a prima vista. Alla luce di questa tirata, toglietevi dalla testa che “Danse macabre” (Frassinelli, 2016, introduzione e cura di Giovanni Arduino) mi fosse sconosciuto. Di questo saggio-summa dell’horror filmico e letterario, diventato cult, ho letto e strapazzato nel corso del tempo ogni edizione che ha visto la luce sin qui (da quelle di Theoria al paperback della Sperling & Kupfer nel 2006). Questo per dirvi che alla faccia della memoria che comincia a giocarmi brutti scherzi, “Danse macabre” è un libro che conosco come le mie tasche, e se adesso vi invito a procurarvelo in fretta nella versione aggiornata/accurata Frassinelli, andrei preso in parola: non ve ne pentirete e io non dovrò portarla ancora troppo per le lunghe: “Danse macabre” è un testo propedeutico, e lo è in modo trasversale: per i kinghiani della prima e ultima ora, per i bulimici di storie dell’orrore, ma anche di cinema e cultura(me) pop. Mai come nella fattispecie la scrittura di King procede per accumulo, tra flash back, acutezze critiche, autobiografismi, invasioni di campo, freudismi, Z-movie e capolavori, narrazioni puntuali come gli orologi svizzeri di una volta e gustose come una torta sacher (da mandare a memoria, se non altro, quelle dedicate a Ira Levin, Jack Finney, Shirley Jackson e Peter Staub).
L’anamnesi si sviluppa per 500 e passa pagine, e tolti i sacrosanti riferimenti ai classici (“Frankenstein”, “Dracula”, “Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hyde”) copre l’arco cinematografico-letterario che va dai Cinquanta agli Ottanta del secolo scorso. Una produzione fruttifera e trasversale, discendente - stando al “Re” - dal quadrumvirato archetipico della Cosa, del Vampiro, del Licantropo e del Fantasma. Gli esempi abbondano (straripano), coniugati come sono, nello stile inarrivabile del prof. King, che nulla ha da invidiare allo storyteller di successo. L’excursus è dialettico, chilometrico, appassionato, ineccepibile, bellissimo. E mosso da curiosità. Una curiosità onnivora. A riguardo, le parole di Giovanni Arduino che introducono il volume (Curiosity killed the cat) la rivelano ancora più lunga:
“Questa curiosità ai confini del dionisiaco, per usare un aggettivo nietzschiano, ricorrente tra queste pagine, in opposizione a un apollineo distacco, è dominante in “Danse Macabre”, e ci consola e conforta. Rinsalda e rinfocola il nostro morboso interesse per qualsiasi argomento, anche se di primo acchito sciocco, marginale o potenzialmente dannoso e sgradevole (cioè i tre quarti della cultura pop in generale). È il trionfo del what if (“che cosa succederebbe se…”) che in On Writing l’autore ha ammesso essere alla base dei suoi lavori. È la dimostrazione che persino i sentieri più stretti e bui vanno imboccati senza esitare, perché non si sa dove porteranno”.
Ne consegue che “Danse macabre” non è un libro miope. E nemmeno un saggio coi paraocchi. L’apologia non si addice a Stephen King che sopra e tra le righe - se è il caso - ironizza, sferza, sconsiglia, come dio comanda e il buon senso critico pure. Da teorico consapevole che l’orrore è un genere molto serio per autori seri. La chiudo qui, non prima però di avervi girato l’ultima che vi devo: “Danse macabre” si avvale in appendice anche delle note illuminanti di Antonio Faeti e Gianni Canova, nonché delle liste di libri e film, come si dice, da non perdere. Garantisce Stephen King. Nel suo caso più che mai credo basti la parola.
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