Dieci cose che ho imparato da Jessica Fletcher
- Autore: Alice Guerra
- Genere: Libri da ridere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Rizzoli
- Anno di pubblicazione: 2024
Nel grande mare della letteratura italiana ci sono tanti scrittori che hanno integrato nelle loro narrazioni un colore locale, proponendo testi con inserti vernacolari più o meno ampi, da alcuni vocaboli a dialoghi interi. Questa scelta non ne ha limitato il successo e molti si sono fatti apprezzare anche oltre i loro confini municipali. Concentrandoci sugli ultimi decenni, in Veneto si è affermato ad esempio Paolo Malaguti, con romanzi storici che hanno raccolto ottimi riscontri presso i lettori grazie alle loro nostalgiche atmosfere dialettali.
Oggi tuttavia ci occuperemo di un genere più leggero, di carattere popolare: il piccolo giallo pubblicato da una nota creatrice di contenuti ormai celebre sui social. Alice Guerra è una trentunenne mestrina di Carpenedo, le piace registrare video simpatici in veneto e si è conquistata un vasto seguito, tanto che Rizzoli l’ha convinta a scrivere un libro: Dieci cose che ho imparato da Jessica Fletcher, uscito da pochissimo. Si tratta di una detective novel tanto semplice quanto divertente, che, almeno nel Veneto, ha buone possibilità di diventare uno dei successi editoriali di quest’estate.
L’autrice ha inventato il misterioso caso della scomparsa di un novantenne ponendosi come protagonista/investigatrice, inanellando una serie di episodi esilaranti e di reminiscenze autobiografiche. Elementi di cultura pop (Harry Potter, Bridget Jones e serie televisive assortite) si mescolano alla vita dei tipici bar del NordEst con un risultato tanto “glocale” quanto realistico.
"Beh, è la storiella di un’influencer e delle sue passioni?" commenterà qualcuno, "Non solo." si può tranquillamente rispondere. Infatti non si tratta di una raccolta di barzellette tenute insieme da una cornice o di una compilazione delle battute di maggior successo dei video di un comico, ma delle vicende di una persona normale che cerca di raccontare la quotidianità - bella o brutta che sia - con un sorriso. Non è poco e non è nemmeno banale.
Ogni giorno ci sottoponiamo alla visione di film e telefilm che ci raccontano di uomini eccezionali che vincono sempre, o di ultimi della classe che poi superano tutti e riescono a compiere qualsiasi impresa, ma il confronto tra queste storie e la nostra quotidianità non ci fa sempre bene, anzi ci intristisce, finisce per farci svalutare le gioie semplici che potrebbero davvero cambiare le nostre giornate.
Disintossicarsi da certe logiche di perfezione, o dal mito del “self made man” che alla fine può avere tutto, è un passo non di poco conto per raggiungere la serenità.
Senza mai perdere l’ironia, la scrittrice usa il racconto di una vicenda strampalata per trasmettere tanti messaggi positivi e concreti: non tutti hanno un bel carattere, l’ansia è una brutta bestia, Mestre è una città piuttosto grigia, i nostri corpi possono avere dei difetti, l’età ci pone inesorabilmente dei limiti...ma si può essere felici lo stesso, dipende tutto da come si affronta la realtà.
Alice ha fatto bene a dire a tutti che non c’è nulla di male ad avere solo pochi amici fidati, e non c’è niente di sbagliato nel frequentare dei vecioti, ognuno di noi deve stare con chi lo fa sentire bene e nessuno è obbligato a sforzarsi di cercare divertimento nei modi che piacciono agli altri.
È questo il vero valore del libro, anche al di là della trama in sé, che comunque non si allontana mai troppo dal plausibile, considerando che effettivamente nel 2011 sui giornali veneti è apparso un titolo cusioso: “Anziano sparisce per una notte: a 96 anni faccio quello che voglio.”
Questo libro è letteratura di consumo? Sì, infatti quando mi è stato prestato l’ho consumato, ho riso, ho trascorso delle ore spensierate e quando l’ho finito ho visto sotto una luce più positiva il mondo che mi circonda.
E aggiungo un’altra osservazione, la RAI e gran parte della cinematografia nazionale hanno sempre ritratto i veneti in modo orrendo: prima come servette languide e contadini ignoranti, poi come gente gretta e ossessionata dai schei, storpiando sempre la lingua veneta senza mai restituirla agli spettatori in modo autentico (si pensi ai recenti abomini linguistici nel film “Il signor diavolo” di Pupi Avati).
Alice Guerra, invece, ha descritto il trantran di un qualsiasi paese del Veneto in maniera quasi fotografica; i suoi personaggi sono indubbiamente macchiettistici, ma in tutta onestà nelle sue pennellate di dialettalità, nei suoi modi di dire e nei suoi intercalari ci si può riconoscere davvero.
Non credo che quest’opera possa essere bollata come istant book. Mi piace pensare che anche tra tanti anni questo libro sarà ancora tra gli scaffali delle biblioteche, nelle sezioni dedicate alla cultura locale, perché anche questa è cultura veneta e il fatto che sia arrivata a un editore di libello nazionale come Rizzoli non può che inorgoglire i nostri cuori di provinciali.
Cambiano i tempi e cambiano le mode. Per la nostra epoca questo giallo umoristico è l’equivalente di ciò che sono stati certi “romanzetti popolari di intrattenimento” nell’Ottocento e nel Novecento, e non c’è nulla di male.
Dieci cose che ho imparato da Jessica Fletcher
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