Entra la morte
- Autore: Rex Stout
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: BEAT
- Anno di pubblicazione: 2013
In una casa a mattoncini della Trentacinquantesima strada a New York, vive e lavora Nero Wolfe; siamo nel centro di Manhattan, in una zona elegante, borghese.
Nero Wolfe è un investigatore conosciuto e costoso, non si muove, se non per occasioni particolari, dalla sua abitazione. Abbiamo la fortuna di assistere a due uscite dalla sua magione in “Entra la morte” (Beat, 2013) dell’autore americano Rex Stout.
Il libro contiene tre racconti, brevi, veloci, intensi. Tre indagini nelle quali Nero Wolfe è costretto a confrontarsi con il suo mondo, un universo di famiglie ricche, famose, prepotenti, nei loro palazzi giganteschi pieni di servitù.
Il libro è una narrazione degli avvenimenti in prima persona di Archie Goodwin.
Archie Goodwin è la parte attiva, manuale, l’uomo di fatica ma capace pure d’impegno intelligente.
Le storie di Nero Wolfe sono un’unione fra l’indagine meditativa, scientifica, deduttiva e quella moderna di azione. Per riuscirci Rex Stout intreccia due protagonisti: Nero Wolfe e Archie Goodwin e l’idea è brillante perché entrambi si combinano, si fondono, ideando un ambiente divertente e volitivo.
Nero Wolfe non esce da casa, eppure nel libro lo vediamo ben due volte fuori.
La prima ha una motivazione di puro godimento: cenare nel ristorante dell’amico e grande cuoco Marko. Nella seconda affronta condizioni più disagiate, per rubare un abile giardiniere per sue orchidee:
“Posò il piede sul bordo erboso del prato, scivolò, traballò, scalciò in aria e riuscì a rimettere in equilibrio il suo quintale e mezzo di ossa e ciccia”
Perché Wolfe è grasso, decisamente grasso, non un adiposo pentito, di quelli ipersalutisti di gran moda, piuttosto un lottatore di sumo, di quelli che nella cultura giapponesi rappresentano un’esaltazione popolare, perché in questo caso essere grassi non è un deficit quanto piuttosto un sinonimo di agilità e potenza. Nero Wolfe è goloso
“Una fetta di tutte e cinque le specialità. Non ho ancora deciso quale preferisco”
Mangiare è un rito, una messa laica, dove bisogna rispettare le regole. Come riprenderà Andrea Camilleri, quando si mangia, non si parla di lavoro, occorre esclusivamente concentrarsi sulla libidine dei sapori.
Camilla Baresani nell’introduzione contesta il principale vezzo psicologico di Nero Wolfe, la misoginia
“si legge che è misogino. A me non pare: in realtà si limita a lasciare in pace le donne”
Potrebbe essere oggettivamente vero. Sicuramente Wolfe non odia le donne, però le mantiene a una certa distanza. Il termine più giusto potrebbe essere ginofobia, Nero Wolfe ha paura delle donne, non sopporta vederle piangere: “La faccia smettere - mormora disperato. Le denigra anche, come se fossero una macchina fredda e cinica: “e poi le donne non hanno bisogno di moventi comprensibili secondo un procedimento intellettuale.” Camilla Baresani è nel giusto e individua il carattere duplice dei protagonisti:
“la passione per le donne non è assente… è delegata (o sublimata) all’assistente di Wolfe e io narrante, l’agile Archie Goodwin”
Potrebbero perfino essere visioni più attuali: nella grande e bella casa risiedono solo quattro uomini, tre di essi non hanno una fidanzata, un’amante, una relazione e neppure pensano di trovarla. Soltanto Goodwin si diverte a saltellare da un’avventura all’altra ma non riesce a finalizzare una relazione soddisfacente.
Rex Stout scrisse questi racconti negli anni quaranta. Se li dovesse scrivere oggigiorno come caratterizzerebbe quattro uomini che abitano da soli, tenendosi deliberatamente e felicemente lontane dalle donne?
Nero Wolfe affronta addirittura una battaglia sociale. I tre delitti hanno un contesto comune, quello di grandi famiglie borghesi, diventate ancora più ricche grazie a idee vincenti. Questo è il cosmo dell’autore. Ma in molti casi si trovano invischiati, involontariamente, personaggi di classi inferiori: commesse, giardinieri.
Nero Wolfe è pigro, considera il lavoro come una sciagura, una calamità inevitabile, un obbligo per avere i soldi da spendere per le proprie passioni. Se non fosse per questo, non lavorerebbe, non sprecherebbe il tempo a risolvere delitti. Ha ineluttabilmente ragione. Questi formalismi di pensiero aiutano a creare il successo del personaggio Nero Wolfe.
A volte la sua vanità prende sopravento, perciò in due casi trova l’assassino senza ottenere nessun vantaggio finanziario.
Le strutture dei racconti di “Entra la morte” sono abbastanza semplici, non approfondite nelle dinamiche degli accadimenti. I colpevoli arrivano senza una difesa intensa, quasi per arrendevolezza. Rex Stout ha il dono della scrittura psicologica, pertanto i personaggi di contorno, sospettati, testimoni, colpevoli hanno profondità, delle sfumature umane e interiori. L’autore costruisce allusioni, tracce che consentono a Nero Wolfe di comprendere e descrivere gli elementi di prova di un delitto. Poi, a cercare le persone, inseguire, fronteggiare malintenzionati pericolosi, minacciare con la pistola ci pensa Goodwin. Insieme non hanno paura, si “sublimano” a vicenda, affrontando, scontrandosi con coraggio a favore di nullatenenti contro uomini e donne potenti.
È indimenticabile come in “Nero Wolfe contro l’FBI”, l’elefantiaco detective sberleffa John Edgar Hoover, potentissimo capo del Federal Bureau of Investigation. È lasciato sull’uscio di casa, nonostante le sue insistenze nel suonare il campanello, osservato beffardamente da Wolfe e Goodwin. Non dimentichiamo che il libro fu scritto nel 1966 quando ancora Hoover era nel pieno del suo potere, capace di soggiogare, controllare, reprimere ben otto presidenti degli Stati Uniti, ma non Nero Wolfe.
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