Freya
- Autore: Giorgio Micheli
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2022
Freya è l’ultimo romanzo di Giorgio Micheli, poeta, scrittore, musicista (Ensemble edizioni, 2022, pp. 97, postfazione di Lina Morselli). È un testo allegorico e magico che conduce per mano il lettore gentilmente, ma con fermezza, nei territori del dolore, della malattia e della morte, con la pace interiore raggiunta, l’accettazione del proprio destino inquadrato in una visione universale; è un’avvenuta rigenerazione spirituale. Costituisce una psicoterapia condotta sapientemente. La letteratura ormai non può prescindere dalla psicologia del profondo e degli archetipi.
Il libro fa tornare in mente una bellissima frase di Battiato: "Come è difficile trovare l’alba nell’imbrunire" (dall’album Patriots, 1980). Ed è quanto accade al protagonista, Michele, anziano ingegnere in pensione che sputa sangue dai polmoni. È giunto al capolinea, lo sente, lo sa, e cova una rabbia cupa che toglie ogni empatia verso i suoi simili, specie verso i poveri e i mendicanti, nei quali quasi senza saperlo vede riflesso se stesso.
Un corvo nero è l’animale totem annunciatore degli eventi. Sembra un riferimento a credenze medievali e ancor prima del mondo classico sia greco che romano, anche norrenico (vichingo), qualcosa di superstizioso e superato dalla cosiddetta scienza, ma non è così; la scienza fredda ridotta a nude analisi cliniche non è in grado di penetrare la psiche e l’angoscia esistenziale di Michele, la sua depressione.
L’autore possiede una conoscenza dell’inconscio e dei simboli, già palesata nei precedenti romanzi, sorretta da una grande sensibilità e anche sensitività. Sa quanto gli animali siano anime collegate alle nostre. Nel racconto troviamo anche il cane Mila, una dolce cagnolona Labrador, amica fedele del misantropo inaridito dalla cattiva sorte. È vedovo, con moglie suicida, una figlia lontana che non vede da 25 anni, un amico di nome Giorgio (come il nome dell’autore!) che nulla può contro le forze oscure quando queste prendono possesso di noi.
Ritrovare la vera vita è immergersi totalmente nel presente e nei suoi doni. Diventa possibile con l’aiuto provvidenziale di una donna, Freya appunto, rappresentante della dea madre che in ogni tradizione svolge lo stesso ruolo. È il divino femminile, il mistero che ci sovrasta e ci visita nel tempo opportuno, "Kairos" direbbero i Greci, l’attimo supremo, l’evento decisivo, molto diverso da “Kronos”, il dio con la falce, il tempo che scorre senza lasciarci niente, divoratore dei suoi figli.
Freya è una divinità del Pantheon nordico europeo, come sottolinea in postfazione Lina Morselli. Affine a "Tara" del buddhismo tibetano, la "salvatrice". Salvare significa precisamente togliere il terrore della morte. Nella nostra tradizione mediterranea abbiamo Maria, uno dei suoi appellativi è "Madonna della salute". Nell’induismo troviamo “Durga”, “Kali”, “Shakti”, lo stesso principio metafisico dell’energia, “bios”, "che vive, il vivente", identico ad Anima.
La visione letteraria di Micheli è quella di unire un principio astratto alla concretezza dell’esistenza, ovvero all’amore gemello della morte.
Freya è la ragazza incontrata "per caso", ma il caso non esiste, esiste il "Kairos" succitato. Accade improvvisamente e cambia le carte in tavola nel gioco che dobbiamo e vogliamo giocare. È il fuoco che attizza nuovamente un cuore spento, capace in fine di chiamare al telefono la figlia e di parlare con il nipote, spendendo lacrime di riconciliazione e immenso affetto.
L’ingegnere è terrorizzato da un sogno ricorrente, premonitore. Lo scrittore sa rendere con grande efficacia il dualismo insito nel femminile: la donna è signora della vita e della morte, Freya e le divinità orientali lo sono, ma anche Maria viene invocata "ora e nell’ora della nostra morte". L’uomo sogna un amplesso desiderato, il quale inizia con il volto della moglie defunta e si trasforma in quello della donna che occasionalmente ha iniziato a frequentare, Eva, che a sua volta diventa il ghigno di una strega dai denti aguzzi, assorbente e fagocitante. Questa la sua affermazione imperiosa:
"Tu sei mio. Solo mio! Ricordalo!”
Eva, ascoltato il sogno, si sente offesa oltre che turbata, non può comprendere Michele e ne prova repulsione, pur volendogli bene.
Per superare l’incubo occorre la presenza di una donna dolce e forte, più forte della paura di morire, accogliente, rassicurante e indagatrice. La verità dell’essere, conosciuta, mette in fuga ogni timore, rivela la nostra eternità. Freya è all’altezza del caso. È reale e pure eterica nello stesso tempo. Una fata con fattezze di giovane ventenne dal corpo seducente e perfetto. Lasciamo al lettore la scoperta e la natura del loro incontro sacro. Freya sa che la vita continua in un altrove per noi inimmaginabile e accompagnerà Michele fino alla chiusura del suo cerchio terreno. Per ricominciare...
Vale la pena citare la saggezza che ne scaturisce; Micheli scrive:
"La morte ci sfiora dal primo giorno che nasciamo e l’uomo per istinto la teme e la esorcizza per sopravvivere alla paura. Ma è necessaria alla vita, che muta e degenera di continuo. Morte e vita, vita e morte, legate assieme a doppio filo, indissolubilmente."
La filosofia è preparazione alla morte, scriveva Platone. Ciò non significa negazione del piacere, ma godere la vita senza attaccamento, Buddha insegna. Anche in questo bel romanzo la tematica è la stessa. Freya è vivacissima come un bambino gioioso, canta e suona, gioca sulla neve insieme al cane, mangia con gusto e lascia a tutti noi in eredità la sua chitarra, eterna musica del fluire.
Freya
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