I nuovi venuti
- Autore: Giorgio Dell’Arti
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
La computistica enumerazione dei vivi e dei morti dopo l’attacco finale al cuore dello Stato. Il quando e il come delle azioni militari che ne hanno portato all’annientamento. Un incubo socio-politico dai connotati cileni. Un registro splatter, un’ucronia possibile, la genesi e lo sviluppo di una tirannide populista, quelli che c’erano prima e quelli che ci saranno poi: così muore una democrazia.
“I nuovi venuti” (Giorgio Dell’Arti, Edizioni Clichy, 2014) è l’anti-romanzo della fine possibile, la sua redazione ragionieristica a cura di uno zelante burocrate della Neo-Restaurazione. Lo spauracchio italiano del colpo di stato divenuto reale. Un rigurgito pre-apocalittico e provocatorio: tantissimi nomi di cose, persone, enti, leggi, statuti (reali) e nessun dialogo, nessuno sviluppo narrativo. Il romanzo comincia in media res, quando la presa del potere manu militare è già avvenuta, per cui capita di inciampare persino sul più scontato dei luoghi comuni: si stava meglio quando si stava peggio, ovvero c’erano una volta la prima, la seconda e la terza Repubblica e oggi, in Italia, non ci sono né ci saranno più.
Le nuove caste (le caste dei “nuovi venuti”, le caste militarizzate) vagheggiano un ritorno del Monarca che forse c’è già: il suo nome è Maestro Kronauer (la vaga assonanza teutonica è del tutto casuale?), ma alla fin fine potrebbe benissimo chiamarsi Legione, come il Diavolo in persona, camicia bruna (probabilmente aggiornata a un palinsesto e a una cravatta più rassicuranti) e la sua coorte di fedelissimi.
Un ampio stralcio dalla pagina 40, giusto per rendere l’idea del memento mori asetticamente allestito dal giornalista Giorgio Dell’Arti:
“I kosovari sorpresero l’onorevole D’Alema a passeggio col cane nei dintorni del palazzo della Rai. Lo circondarono, in cinquanta quanti erano, e gli imposero di incamminarsi verso il fiume. Lo persuasero poi a entrare in acqua. La scorta era d’accordo. Con delle pertiche lo costrinsero a tener la testa sotto. Il cadavere fu poi ripescato nei pressi del Circolo Nautico di Fiumicino. L’onorevole Di Pietro, scovato in un casolare di campagna, fu legato tra due trattori poi fatti partire in direzioni opposte. L’onorevole Veltroni, lapidato. Il segretario Bersani, accoltellato a più riprese nella vasca da bagno. Quanto ai Giornalisti Rinomati – come gli Scalfari, i Mentana, i Feltri, i Santoro, i Travaglio – li sdraiammo nel piazzale che si trova al centro del Parco della Ridondanza e dopo avergli bloccato a terra braccia e gambe con dei morsetti d’acciaio gli facemmo passare sui polsi le biciclette dalle ruote di rasoio”.
Si va avanti più o meno di questo passo per circa ottanta pagine, illividite come il cielo più livido da fine del mondo che riuscite a immaginare, e neanche l’ironia che affiora qua e là tra testo e sottotesto, basta a cacciar via il perdurante senso di sgomento.
La sensazione che inquieta di più ha a che vedere con la plausibilità dell’espediente narrativo e con una domanda che aleggia nera nera: e se ciò che succede in questo romanzo, dato l’andazzo, ci capiterà davvero?
I Nuovi Venuti.
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