Sin dall’alba dei tempi la poesia si è dovuta spesso relazionare con la guerra. A volte il poeta si è palesemente schierato o ha narrato epicamente degli eventi; in tempi più recenti invece ha soprattutto denunciato le brutture dei conflitti, perché la guerra sbaglia sempre.
La guerra nella poesia antica: Omero e Virgilio
Andando molto indietro con il tempo, il grande Omero può già essere considerato un poeta di guerra: ha cantato di un lungo conflitto, anche se ne ha narrato gli eventi tutto sommato senza parteggiare apertamente per una delle due fazioni, raccontando le vicende della seconda parte della guerra tra Achei e Troiani e cantando equamente le imprese di due opposti eroi: Ettore, troiano, e Achille, acheo.
Il poeta latino Virgilio, seguendo le vicende di Enea nel suo capolavoro Eneide, tratteggia la figura di un eroe che non esita ovviamente a combattere per i suoi ideali. Eppure egli stesso parla di un’epoca di pace e concordia nella celeberrima Quarta Ecloga delle Bucoliche, che nel Medioevo erroneamente fu considerata una sorta di profezia messianica.
La guerra nella poesia tra Medioevo e Rinascimento
L’esaltazione della guerra, soprattutto se "santa", è una peculiarità della letteratura medioevale. Gli eroi combattono per un giusto ideale e i poeti ne cantano le gesta. Le Chansons de geste appassionarono nel primo Medioevo e ispirarono poeti fino al Rinascimento.
Torquato Tasso nella Gerusalemme liberata parla di una Crociata, ponendo maggiormente l’accento sulla conflittualità basata sul diverso culto religioso.
La guerra raccontata nell’Ottocento: Manzoni e Scott
Se in epoca classica, ma anche fino al tardo Rinascimento, i poeti hanno celebrato le imprese guerresche epicamente e come esaltazione del coraggio, la situazione comincia a cambiare nel tardo Ottocento.
Walter Scott e Alessandro Manzoni parlano di guerre non più esaltandone le ragioni, ma guardando soprattutto ai popoli oppressi e sempre vittime di situazioni non volute. Manzoni mostra riprovazione ed è uno dei primi scrittori a fare appello alla fratellanza.
Alessandro Manzoni e Walter Scott hanno in comune la medesima concezione della Storia, che finisce sempre con l’incrociarsi con quella delle persone comuni.
Il Napoleone del Cinque maggio è un uomo che ha conquistato l’Europa, "dal Manzanarre al Reno", ma ora è morto, e Manzoni accantona il tono epico per porsi una domanda: fu gloria o altro quello che aveva portato il corso a tante conquiste? Finalmente è l’uomo e non il conquistatore a comparire nella celebre ode.
La guerra nella letteratura del Novecento
Il primo Novecento con le sue contraddizioni vede da un lato il Futurismo, con Marinetti convinto assertore della guerra igiene del mondo, e D’Annunzio tra i partecipanti all’impresa di Fiume, ma anche i War poets, che raccontano la disillusione della vita di trincea malgrado uno di essi, Rupert Brooke, nel 1915 ancora bramava di lasciare in suolo straniero una parte della sua patria perendo soldato.
La stessa sensazione di amarezza e caducità descritta dai coetanei inglesi si ritrova nell’italiano Giuseppe Ungaretti. Nella sua raccolta L’allegria, le liriche più belle dedicate alla sua esperienza bellica nella Grande Guerra.
Accanto a un compagno morto, in trincea, Ungaretti afferma che il suo attaccamento alla vita raggiunge i massimi picchi, o ancora in Soldati, capolavoro dell’Ermetismo, in pochi versi descrive la precarietà dell’esistenza, paragonabile a quella delle foglie autunnali.
Salvatore Quasimodo resta oltremodo sconvolto dall’esperienza della Seconda guerra mondiale. Lucido e atterrito descrive un bombardamento ai Navigli, ripetendo più volte che la città era ormai morta, nella poesia Milano, agosto 1943.
I due manifesti contro la guerra sono sicuramente Alle fronde dei salici e Uomo del mio tempo.
Nella prima poesia, con echi biblici, il poeta afferma l’impossibilità di creare. Le cetre sono appese, mentre l’invasione straniera chiude il cuore degli artisti.
Il richiamo biblico si trova anche in Uomo del mio tempo, bombardiere nella carlinga dell’aereo che come Caino uccide il fratello Abele. Ci si uccide tra fratelli, come anche Ungaretti affermava.
Mai più guerra, ieri, oggi, sempre.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I poeti e la guerra: un percorso da Omero a Quasimodo
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E’ un excursus molto bello ed approfondito sul controverso e sofferto rapporto nei secoli tra poesia e guerra.
In ogni caso questo contributo ci illumina sul fatto che, al di là dei diversi punti di vista e del trascorrere del tempo, tutti i poeti hanno dovuto affrontare il significato ed il senso della esistenza umana, soprattutto nel confronto con la guerra che comporta la soppressione di vite umane.