Il confine di Bonetti
- Autore: Giovanni Floris
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2014
Giovanni Floris, uno dei più popolari giornalisti televisivi, ha esordito come scrittore di romanzi con “ Il confine di Bonetti ” (Feltrinelli, 2014).
Roberto Ranò, l’io narrante, è un noto notaio romano di 46 anni, sposato con Ornella, padre di due figli. Lo troviamo nell’incipit in prigione a Rebibbia, accusato di aver ucciso un tizio, di fatto lui non c’entra niente, purtroppo però gli indizi a suo carico sono tanti.
“Fatto sta che trent’anni fa noi la linea di confine eravamo in grado di vederla. Lo chiamavamo il confine di Bonetti. Ieri notte mi sono trovato a ricordare quei giorni seduto sulla branda di una prigione. Qualcosa deve essermi sfuggito”.
La pm che si reca in carcere a interrogarlo è una donna di 65 anni, molto stravagante, finta bionda, pesantemente truccata, con un paio di occhiali da sole da vamp e una minigonna vertiginosa con sotto delle calze a rete. L’interrogatorio diventa una sorta di confessione: Ranò insieme al famoso regista, Marco Bonetti, anche lui in carcere per lo stesso strano omicidio, anche lui, di fatto non implicato, avevano preso parte ad un party “borderline”, al quartiere Portuense. Una festa eccessiva che voleva essere solo una rimpatriata tra vecchi amici di liceo, lui, lo stesso Bonetti, Navarra, Fochetti e Gallo, ma si trasforma in una serata folle a base di droga, sesso e omicidio. I cinque, cresciuti negli anni Ottanta, appartenevano allo stesso gruppo che “aveva la capacità di vivere al confine della devianza senza mai farsi attrarre dal baratro”. La comitiva era capitanata da Sergio Campanile, al presente ricoverato in una clinica psichiatrica, era stato lui a imporre le regole e a prendere le distanze da un altro gruppo che “sembrava ormai aver perso il controllo della situazione e andare alla deriva”.
Ranò con un lungo flashback racconta le scorribande del gruppo, le notti brave, le vacanze sbagliate, gli amori sballati, le fughe dai ristoranti all’ora di pagare i conti, la volta che Navarra fu preso a botte durante gli scontri di un derby Roma-Lazio o quella in cui Fochetti fu arrestato in Grecia perché aveva dell’hashish addosso.
La lunga confessione, un flashback di ricordi, ci rivela un gruppo di adolescenti che vive negli anni Ottanta, ragazzi scapestrati e desiderosi di ritagliarsi il loro spazio in un mondo pieno di opportunità, ma socialmente e culturalmente diversi, a unirli una voglia matta di oltrepassare “il confine” tra il bene e il male, la giovinezza e la maturità, il reale e il magico. Una generazione non politicizzata e senza grandi ideali tanto che in prigione l’io narrante invano pensa al gruppo a cui apparteneva senza trovare “un arresto politico o un cazzo di manifestazione giusta finita a manganellate, a favore della Birmania o del Cile.”
Ranò e Bonetti nel loro percorso di formazione sono le due facce di una stessa medaglia, il primo odia il suo lavoro e la sua vita, eccessivamente pragmatico, il secondo è ancora pieno di entusiasmo, perennemente sognatore; entrambi hanno però perso quella sorta di superpotere che li accomunava da giovani, capire, cioè, le leggi che governano gli umani e predisporre a non esserne travolti. E i limiti che si erano imposti da giovani sono incontrollatamente superati in “un’ultima notte da leoni”.
Scritto molto bene con un ritmo incalzante, il primo romanzo di Floris non mi ha convinto del tutto se non altro perché questi giovani pariolini prima, ricchi professionisti dopo, come la famosa canzone di Lou Reed sembrano tutti “walk on the wild side”.
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