Il dottor Bergelon
- Autore: Georges Simenon
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2022
Il dottor Bergelon (Adelphi 2022, titolo originale Bergelon, traduzione di Laura Frausin Guarino) fu scritto dal grande autore belga Georges Simenon (Liegi 1903-Losanna 1989) a Nieul-sur-Mer nella Charente Marittima nel 1939 e edito nel 1941 a Parigi presso Editions Gallimard. Nel novembre del 1964 Mondadori ha pubblicato il testo in Italia, tradotto da Elena Cantini con il titolo Bergelon.
“Le campane annunciavano una messa: era domenica”.
Il dottor Bergelon si era alzato tardi con la mente ottenebrata dai postumi di una sbornia, poi piano piano l’uomo aveva iniziato a ricordare. La notte che aveva preceduto l’alba, una giovane, Marthe Cosson, aveva partorito un neonato privo di vita. Tutto si era svolto con rapidità nella clinica della Città Alta di Bugle, dove durante la notte Bergelon si era recato con il dottor Mandalin. Entrambi erano reduci da una cena a casa del celebre chirurgo, la mente non lucida e le mani tremanti, e alle tre del mattino un Mandalin visibilmente ubriaco aveva fatto partorire la giovane.
Risultato: il neonato era morto. Ora anche la vita di Marthe era in pericolo, e suo marito, sconvolto, aveva intuito che gli stavano nascondendo la verità. Eppure era accaduto tutto per caso, un paio di mesi prima. Bergelon aveva incontrato per strada il dottor Mandalin, che conosceva solo per averlo intravisto ad alcune riunioni del sindacato dei medici. Mandalin era un personaggio importante, abitava in una palazzina d’epoca nei quartieri alti di Bugle, aveva fatto costruire una clinica modello con una dozzina di letti e da qualche tempo aveva il suo autista personale. A Bergelon, modesto medico condotto che aveva una clientela di quartiere, Mandalin aveva fatto una proposta allettante:
“La parcella della prima operazione che mi procurerà sarà tutta per lei... In seguito, a ogni paziente che mi manderà faremo a metà... Arrivederci, vecchio mio… A presto...”
È come se la gente corresse dritta incontro al proprio destino, Jean Cosson e sua moglie Marthe, il futuro padre che aveva preteso il miglior ostetrico di Bugle e la povera Marthe che aveva iniziato le doglie proprio la sera della cena a casa di Mandalin. Adesso era venuta a mancare anche Marthe e Jean Cosson, voleva vederci chiaro, e il bersaglio del suo risentimento era il dottor Bergelon, che aveva osato evadere dal suo mondo e fare un’incursione nell’universo dei Mandalin.
“Gli era andata male, e doveva fatalmente essere così”.
Due medici che hanno dimenticato cosa sia la coscienza professionale, perché è facile giocare con la vita degli altri, un evidente caso di malasanità, un giovane uomo intenzionato a vendicarsi. Inizia l’incubo per il “Dottorino” Bergelon, la cui vita grama è già gravata da una moglie rassegnata con una voce da profeta di sventure e per giunta anche taccagna. Un incubo al cui centro vi sono una serie di lettere minatorie spedite da Cosson, ecco perché giorno dopo giorno Bergelon viene preso dal folle desiderio di cambiare vita, di sparire. Scomparire per non accettare il proprio destino, o almeno provarci, per ripetere a se stesso: ho tentato, ma non ci sono riuscito.
Mai come in questo splendido romanzo di Simenon sono protagoniste le singole coscienze dei protagonisti, immerse nella classica atmosfera della provincia francese sospesa tra due guerre mondiali, che pochi scrittori come il celebre autore belga sanno descrivere con straordinaria perizia.
“A mano a mano che procedeva, le strade diventavano più larghe e più vuote. Era a casa sua, nel suo quartiere. Fatta eccezione per alcuni edifici nuovi, da quando era nato non era cambiato niente”.
Il dottor Bergelon
Amazon.it: 10,99 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il dottor Bergelon
Lascia il tuo commento
Simenon, si sa, non si perde in chiacchiere. E così nel romanzo Il dottor Bergelon (Adelphi, pagine 195, trad. Laura Frausin Guarino), scritto nel 1939 e pubblicato due anni dopo, si entra subito nel cuore della vicenda. Ecco, dunque, Elie Bergelon, un medico con una modesta clientela di quartiere, sua moglie Germaine, sempre a caccia del soldo e sempre affaccendata tra pulizie domestiche e rammendi, e i suoi figli, due ragazzi. Poi, dopo un paio di pagine, una frase di Bergelon buttata lì come se non avesse peso: “Il bambino è morto”.
A questo punto il nastro si riavvolge fino a due mesi prima, e cioè fino al momento in cui Bergelon incontra per strada Mandalin, anche lui medico e proprietario di una clinica modello con dodici letti da riempire per impinguare il conto in banca e mantenere la bella vita nei quartieri alti. La proposta di Mandalin è semplice: Bergelon manderà alla sua clinica pazienti da operare e Mandalin lo ripagherà con la metà dei guadagni, più di quanto serve a Bergelon per edificare sulla propria casa quel secondo piano che Germaine vorrebbe quasi come un segno di prestigio sociale. Ma già con la prima paziente mandata da Bergelon va tutto storto. Mandalin, che ha alzato il gomito durante una festa alla quale hanno partecipato anche i coniugi Bergelon, durante il parto fa una mossa sbagliata col forcipe e il bambino muore. Dopo poco, muore di emorragia anche la madre, Marthe Cosson.
Bergelon riprende la sua vita di sempre, o almeno così sembra, tra i suoi modesti clienti e le visite nelle case che conosce da sempre. In realtà, qualcosa è cambiato. Jean Cosson, il vedovo di Marthe, gli lancia sguardi malevoli, gli manda biglietti con minacce di morte, lo accusa di aver commesso gravi negligenze insieme a Mandalin e chiede alla Procura l’autopsia del cadavere della moglie.
Però è dentro Bergelon che sta avvenendo la vera trasformazione, un’ansia “di aprire non una porta, ma una strada, una prospettiva nuova”. Bergelon non vuole più essere Bergelon, forse per ciò che è accaduto nella clinica di Mandalin o, più probabilmente, per un’attesa e una speranza più antiche. Bergelon comincia a perdersi tra una città e l’altra, tra una donna e l’altra, alla ricerca inconfessata di una strada diversa per la sua vita.
Lasciamo il resto ai prossimi lettori di questo libro, aggiungendo almeno che non c’è, come può sembrare, una tragedia, ma solo un cumulo di meschinità e piccole abiezioni che non hanno nemmeno l’enormità del male che è necessaria alla vera tragedia.
Anche chi condivide il duro giudizio espresso molti anni fa da Elémire Zolla (“Simenon finge i modi della tradizione letteraria”) vorrà convenire che Simenon è magistrale nella rappresentazione degli interni di provincia e dei suoi decorosi nidi di vipere o di talpe rassegnate. Bugle, la città, dove si snoda il romanzo, è infatti un teatro di personaggi che certa narrativa francese, e Simenon con un’abilità tutta sua, ha messo in opera da almeno un secolo, soprattutto per mano di una ispirazione cattolica che Simenon non possiede. Ecco perché ci sembra di conoscerli già da tempo questi piccoli borghesi apparentemente soddisfatti, queste vedove pettegole e questi interni familiari dove vivere e morire si somigliano terribilmente. Non per questo si tratta qui di semplici figure-tipo. Anzi, per scoprire come Simenon giochi con la complessità e le sfumature, basta seguire attentamente il filo dei pensieri di Bergelon o la singolare dialettica tra il comportamento di quest’ultimo e quello di Cosson.
Bergelon non è un ribelle né l’eroe di un dramma. E’ un uomo come tanti al quale il caso, o forse un desiderio ormai quasi dimenticato, offre una chance per cambiare la rotta della propria esistenza. Più di una volta Simenon ha messo i protagonisti dei suoi romanzi di fronte alla possibilità di una metamorfosi radicale e li ha costretti a scegliere, come accade anche con Bergelon, tra un nuovo destino e il rassegnato morire un poco al giorno.