Il giorno in cui la letteratura morì
- Autore: Paolo Di Paolo
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
Un prezioso tributo a Italo Calvino in questo saggio mascherato da racconto, Quando la letteratura morì (Tetra edizioni, 2023) in cui Paolo Di Paolo compone una dissertazione illuminante sul ruolo dell’invenzione narrativa - e della Parola - nella società attuale.
Nel “giorno in cui la letteratura morì” accaddero molte cose. Ce lo racconta l’avventura di un conferenziere - personaggio che sembra essere uscito proprio da uno dei racconti calviniani - chiamato a tenere un convegno sull’opera omnia dello Scrittore.
Tutto ha inizio quando il conferenziere viene contraddetto da un anonimo volto del pubblico che non ha da porre una domanda ma, come dice, solo un’osservazione. Con questa osservazione l’uomo ribalta la tesi del conferenziere secondo cui lo Scrittore sperimentò, durante la sua vita, una stagione di sfiducia nelle parole: non è possibile, sostiene lo spettatore, poiché per uno scrittore la scrittura è una vocazione. L’uomo naturalmente non vuole e non chiede di essere smentito; ma il racconto che segue è proprio la necessaria confutazione di questo assunto assoluto “la scrittura come vocazione” e un’indagine sulle capacità della parola di esprimere il Reale esaurendone ogni possibilità.
Paolo Di Paolo intreccia con abilità l’opera di Calvino alla narrazione del presente, attualizzando il pensiero dello Scrittore in quella che sembra essere la settima - forse incompiuta - delle Lezioni americane.
Cosa direbbe Calvino oggi di questo nostro caotico e sfuggente presente?
Il conferenziere assillato dalla “non-domanda” dell’anonimo signore inizia a riflettere su quanto lo circonda. Ne risulta una profonda analisi esistenziale che tocca alcuni punti nevralgici dell’attualità, come il nostro perenne preoccuparci di cosa lasceremo ai posteri, senza badare al fatto che saremo morti e sepolti e quindi non potremo certo gloriarcene; oppure la nostra ansia di apparire, di essere a ogni costo guardati/considerati/amati che oggi trova sfogo nel flusso continuo di parole, immagini e video dei social network.
Abitiamo un’epoca, osserva il conferenziere, affetta da bovarismo:
Nel cuore di quest’Era dell’Informazione, rimugina il conferenziere, ci impegniamo a costruire autoinganni, falsifichiamo, difendiamo convenzioni smentite dalla verità dei fatti e dal dolore del mondo. Ci proiettiamo – bovaristicamente – su un palcoscenico effimero, patetico, credendo di avere un pubblico.
Il periodare filosofico richiama volutamente lo stile calviniano, in particolare i ragionamenti esistenziali di Amerigo Ormea ne La giornata d’uno scrutatore. Qual è il fine della nostra società dell’apparenza? La nostra continua “festa dell’insignificanza” non è in fondo un tentativo di celare, forse di occultare, l’angoscia abissale dell’oblio che ci attende?
La vita di Calvino, ripercorsa attraverso le sue opere - dal Barone rampante a Palomar - diventa anche un pretesto per analizzare la rappresentazione letteraria nei suoi miracoli e, soprattutto, nei suoi limiti. Non troviamo citati solo i libri dello Scrittore, ma anche quelli di Milan Kundera, Philip Roth e Gustave Flaubert, tutte opere tese a rivelare il fine ultimo "a cui le parole non giungono".
In Palomar (1983), non a caso, il protagonista muore proprio nel momento in cui decide di descrivere “ogni istante della propria vita e finché non li avrà descritti tutti non penserà di essere morto”. Le parole instillano in Palomar l’illusione della durata, diventano una maniera per appropriarsi pienamente della vita e dunque non vederne la transitorietà, non lasciarsela sfuggire tra le dita. La fine del libro pare anticipare, narrativamente, la morte dello Scrittore.
Mediante un ragionamento letterario quasi speleologico si dimostra che in fondo l’affermazione celebre di Flaubert “Madame Bovary c’est moi” può essere ribaltata: Madame Bovary siamo noi, tutti noi prigionieri delle contemporanee “bolle social”, degli algoritmi digitali, di un’illusione assimilabile alla definizione più prossima di “chimera”.
Viviamo in un’epoca frammentata e sfuggente, sottoposti a un continuo bombardamento di parole e immagini, in cui tutti hanno un’opinione su tutto e le parole rimbalzano senza posa come le palline di un flipper, spesso perdendo di vista il loro significato. “La letteratura è morta?” i giornali ormai titolano così da decenni con effetti sempre meno allarmistici; ma la verità è che la letteratura muore ogni giorno nonostante il nostro costante eloquio, i fiumi di libri pubblicati e quelli ancora da stampare, le parole scritte, stampate, pronunciate, registrate e urlate che tuttavia non riescono mai a esaurire la totalità inenarrabile del reale e quindi continuano, prolungando una narrazione turbinosa, di fatto destinata a non finire.
Italo Calvino questo lo sapeva, come tutti i grandi scrittori lo presentiva, e di conseguenza si sentiva sfiduciato nella sua capacità di narrare. A un certo punto avverte come una crepa, un’incrinatura nella sua fede ostinata nell’atto di scrivere. La scrittura si confonde con la vita, diventa una tenace, radicale, ricerca di senso. Dopo aver scritto “tutto” (saggi, romanzi, racconti) ecco che quindi tenta la via sperimentale, cerca di scrivere un romanzo fatto di una somma di romanzi incompiuti (Se una notte d’inverno un viaggiatore) e infine sperimenta la descrizione al posto della narrazione, servendosi della scomposizione del linguaggio, in Palomar. Ecco dunque la tesi che smentisce l’osservazione inoppugnabile opposta dallo spettatore al conferenziere, che uno scrittore scriva “per vocazione” e nutra sempre una totale fiducia nelle parole. Il teorema di perfezione geometrica illustrato dall’anonimo signore si sgretola sfatato dalla verità letteraria che, per natura, consiste nell’elogio del dubbio, della domanda, della perplessità.
Attraverso questo libello geniale Paolo Di Paolo mette in luce le contraddizioni (ma anche l’impalpabile bellezza) del nostro presente, componendo il ritratto vivido e pieno di malinconia di uno scrittore, Italo Calvino, che in fondo non ha mai smesso di dire “quel che ha da dire” proprio come si addice agli autori entrati di diritto nel canone dei “classici”.
Il giorno in cui la letteratura morì
Amazon.it: 4,00 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il giorno in cui la letteratura morì
Lascia il tuo commento