Il momento è delicato di Niccolò Ammaniti

Quando, entrata in libreria, ho visto il nuovo libro di Ammaniti ("Il momento è delicato", Einaudi 2012) non ci ho pensato su neanche un attimo: l’ho acquistato e sono corsa a sprofondare nella mia poltrona da lettura. Quando però l’ho sfogliato ed ho scoperto che si tratta di una raccolta di racconti, mi sono sentita mancare. Tu quoque, Niccolò! Anche tu hai ceduto alle pressioni del tuo editore che ti chiede di riempire in fretta uno spazio per il quale non hai niente di pronto! Sperando di trovare comunque fra quelle pagine un po’ di consolazione, mi sono a mala voglia cimentata nella lettura e, lo devo ammettere, ne sono uscita rinfrancata.

I sedici racconti si susseguono con un certo ordine, alternando i testi più divertenti con quelli un po’ più malinconici. Il lettori di Ammaniti sanno che tutti i suoi romanzi, anche i più demenziali, come Che la festa cominci, conservano un sottofondo di amara ironia, che rende reale anche lo scritto più fantasioso. Così, ne Il momento è delicato, ogni racconto echeggia rimandi alla vita di ognuno di noi: la solitudine di un’anziana che spira nel silenzio di una casa di riposo; l’emarginazione di un diverso, costretto per sempre tra le mura di un appartamento; l’ottusità di un giovanotto, schifato dal diverso e punito da un perfetto contrappasso; l’effimera sostanza del successo, che inebria ed abbrutisce in un colpo solo.

Una menzione particolare va riservata alla prefazione, che è una sorta di pubblica scusa ai lettori che, come me, hanno sviluppato una certa avversione alle raccolte. Nelle prime pagine, Ammaniti racconta i suoi esordi ed il tenero rapporto che lo ha legato al capo della Mondadori, Gian Arturo Ferrari. Poche righe di autentica biografia che ci introducono alla lettura con una spinta affettuosa e ci rinfrancano un po’ dalla delusione di esserci imbattuti nell’ennesima raccolta.
Per gli affezionati di Ammaniti, Il momento è delicato è un piacevole viaggio nella formazione dell’autore che, già all’inizio degli anni ’90, aveva definito il suo stile.

Mi piace sottolineare un ultimo aspetto, un piccolo omaggio ad uno scrittore che immagino sia stato più volte d’ispirazione per il nostro: il primo racconto, scritto a quattro mani con Antonio Manzini, si apre con una citazione di Joe R. Lansdale. Due scrittori che condividono lo stesso sottofondo malinconico, seppure in uno stile tanto diverso.