Il paese dei ciliegi
- Autore: Dörte Hansen
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Salani
- Anno di pubblicazione: 2016
“Il paese dei ciliegi” (Salani, 2017, titolo originale Altes Land, traduzione di Umberto Gandini) è il romanzo d’esordio della scrittrice e giornalista tedesca Dörte Hansen, nata a Husum nel 1964, che oggi lavora come autrice e curatrice di testi radiofonici.
“Certe notti, quando il vento soffiava da Occidente, la casa gemeva come una nave sballottata in alto mare. Le folate si accanivano sugli antichi muri urlando”.
Primavera del 1945. La piccola Vera, dai riccioli scuri, di cinque anni e la madre Hildegard von Kamcke, discendente da una nobile famiglia prussiana, erano giunte nell’Altes Land, territorio agricolo costiero a sud di Amburgo e in parte della Bassa Sassonia. Le due profughe Hildegard e Vera, provenienti dalla Prussia orientale, avevano bussato alla porta della vedova Ilda Eckhoff, contadina di Altes Land da sei generazioni. La donna le aveva accolte con mala grazia, dicendo:
“Quanti ancora ne verranno di voi polacchi?”.
Nella fatiscente abitazione vecchia di trecento anni madre e figlia erano state ospitate nelle stanze della servitù. L’altera Hildegard, di aspetto aristocratico, si guadagnava da vivere nella fattoria che la ospitava mungendo le vacche, raccogliendo la frutta nel frutteto e brandendo il forcone nella stalla mentre cantava arie di Mozart. Le due donne così diverse di carattere non erano mai andate d’accordo, soltanto Vera faceva compagnia alla vedova giocando a carte e imparando a ricamare. La situazione si era esasperata nel momento in cui il figlio di Ilda, Karl, tornato dalla guerra malato di nervi, aveva sposato l’affascinante Hildegard.
“Due donne, un focolare: non era mai finita bene”. Nuora e suocera avevano trasformato la casa in un campo di battaglia, fino a costringere l’anziana a trasferirsi “nella casa dei vecchi”.
Quando Vera aveva quattordici anni, la madre aveva preso la decisione di andare via da casa, trasferendosi ad Amburgo con un uomo ricco dal quale era rimasta incinta di una bambina, Marlene. Vera, rimasta nella fattoria con il patrigno, dopo il ginnasio si era laureata in Medicina e aveva aperto uno studio dentistico nel centro del paese. Gli anni erano passati e un giorno alla porta di Vera, che nel frattempo aveva ereditato la proprietà ma ci viveva come se non le appartenesse, si era presentata la figlia di Marlene, Anne, musicista, insieme al figlio di quattro anni, il biondo Leon, in cerca di rifugio e tranquillità. La storia sembrava ripetersi.
“Vera non sapeva molto di sua nipote, però riconosceva un profugo quando ne vedeva uno”.
La giovane donna dal viso corrucciato che stava scaricando gli scatoloni dalla macchina era palesemente in cerca di qualcosa di più di una nuova esperienza e di aria buona.
Una narrazione intensa vergata da una prosa nitida e schietta affronta temi quali la casa, la famiglia, il senso di appartenenza e di isolamento in cui spicca la figura anticonvenzionale di Vera, la quale non si sentiva radicata al luogo dove viveva, eppure vi era abbarbicata come un muschio fino a conoscerne quasi ogni particolare.
“Era dovuta restare in quella fattoria, dove non aveva potuto metter radici, ma era ugualmente cresciuta attaccata a quelle pietre, come un lichene o un muschio”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il paese dei ciliegi
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