Il respiro delle anime di Gigi Paoli

Il giornalista fiorentino Gigi Paoli, dopo il grande successo del suo primo romanzo “Il rumore della pioggia”, prova di nuovo a raccontare una storia noir ambientata nella Firenze attuale con “Il respiro delle anime”, una complicata vicenda che ha per protagonista uno scienziato americano di origine ucraina che lavora per una multinazionale farmaceutica con sede proprio a Firenze.

Si tratta del professor Michael/Misha che, però, viene falciato da un’auto pirata mentre rientrava in bicicletta in piena notte dalla Clegg-Horizon, dopo aver festeggiato l’Indipendence Day con i colleghi americani. Nello zainetto del giovane scienziato solo il passaporto americano, niente cellulare, niente altri segni di riconoscimento. Cominciano ad indagare sul caso il giornalista narratore della storia, Carlo Alberto Marchi, le cui vicende biografiche somigliano a quelle dell’autore, capo redattore della cronaca giudiziaria de La Nazione. C’è poi il sovrintendente Rindi, amico di Carlo, un bravissimo investigatore messo in disparte da una vicenda poco fortunata nella quale era incappato; e poi c’è il palazzo di giustizia, un mostro architettonico che Carlo ha ribattezzato “Gotham city”, dove si svolge il teatro della giustizia fiorentina: avvocati, giudici, giornalisti, cancellieri, che si affollano nella gigantesca costruzione a caccia di notizie, di scoop, di carriere da costruire, di avversari da battere.
Il narratore si trova invischiato in storie più grandi di lui, e per la sua curiosità rischia di finire male. È amico di un mafioso ucraino, Valerio, che si scopre avere stretti rapporti con lo scienziato americano morto. Ma è stato davvero un incidente? E come mai il console americano, che fa enormi pressioni sulla magistratura per scoprire rapidamente l’autore dell’investimento mortale, è anche il proprietario della grande azienda farmaceutica, che sorge a poche centinaia di metri dal palazzo di Giustizia?

Insomma il plot si riempie di personaggi, intrighi, scoperte, inedite testimonianze, che portano ad un finale che è giusto definire mozzafiato. Ma come già nel primo romanzo, Gigi Paoli ha il grande merito di raccontare una Firenze notturna, del tutto inedita, diversa da quella vissuta giornalmente dalle migliaia di turisti che la pensano unicamente come la capitale del Rinascimento. I quartieri periferici, le prostitute giovanissime lungo i viali, i senzatetto che si nascondono in grandi spazi abbandonati, una villa nobiliare dalle finestre sinistramente murate, un locale notturno in pieno centro di proprietà di un noto esponente della mafia ucraina, ecco la descrizione che fa l’esperto di cronaca giudiziaria nel romanzo. E poi una serrata critica al carattere dei suoi concittadini, messa in bocca al giudice Lo Presti, un giovane magistrato bellunese dalle grandi ambizioni:

“E poi non sopportava i fiorentini altezzosi, supponenti, provinciali, guardavano tutti dall’alto in basso. A lui ricordavano gli inglesi per il continuo ritornare indietro ai tempi in cui comandavano il mondo. Gli inglesi avevano l’Impero, le navi, il potere; i Fiorentini avevano il Rinascimento, l’arte, i Medici. Bello, bellissimo. Ma ormai era finito tutto e solo loro pensavano al presente come un luminoso, inevitabile ripetersi del passato, senza accorgersi invece che il futuro li avrebbe resi sempre più marginali. Tranne che nella loro presunzione”.

Ecco, queste sono le parti del libro di Gigi Paoli che ho preferito, quelle nelle quali l’analisi sociologica e politica del presente, scava nel tessuto cittadino rendendo simbolico il nostro presente di decadenza, infestati come siamo da mafia, corruzione, scarsezza di valori etici e di prospettive di uscire da una crisi che sembra eterna. Una Firenze simbolo di un’Italia ammalata, questo sembra suggerire lo scrittore che pur ricorrendo al solito noir, ci dice molte cose su come la società italiana si sta ripiegando. E non è uno spettacolo gratificante.