Il trono di sangue
- Autore: Conn Iggulden
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2017
Se non si nasce re, si può diventarlo. È un principio confortante per uomini di valore intraprendenti, tanto più in un regno e in momento storico in cui la fortuna successiva di quel territorio è tutta da costruire. Il nuovo titolo di Conn Iggulden ci porta nella Britannia meridionale, poco prima dell’anno Mille. È “Il trono di sangue”, edizioni Piemme, novembre 2017 (pp. 540, euro 19,90).
Conn Iggulden è il più grande scrittore inglese contemporaneo di romanzi storici di età romana. Nato a Londra nel 1971, autore della saga di Giulio Cesare, si è dedicato successivamente ad un ciclo su Gengis Khan e ha firmato una fortunata trilogia sulla Guerra delle Due Rose, tra le famiglie York e Lancaster.
Ora, pur restando in terra inglese, è tornato alla fine del primo millennio dopo Cristo, quando il piccolo regno del Wessex, a sud dell’isola britanna, è diventato Inghilterra.
Il racconto nasce dal manoscritto di un uomo che dice di aver frequentato sette re. Tre fratelli: Ethelstan, Edmund, Eadred. Due figli: Edwy ed Edgar. Due nipoti: Edward e Ethelred. Conn sostiene di aver trovato il testo e aggiunge che avrebbe forse dovuto distruggerlo. Ma lo ha conservato e attraverso quella narrazione racconta le vicende della creazione di un reame che farà la storia del mondo. Ecco perciò come la terra degli Angli è diventata una monarchia longeva e prospera, per l’operato di sette sovrani, accompagnato dall’azione dell’uomo che ha lasciato queste sue memorie, autoaccusandosi con franchezza di diverse malefatte: aver infranto i voti, avere assassinato degli innocenti, aver tradito quanti lo hanno amato e da lui sono stati amati.
Quell’uomo è Dunstan di Glastonbury, un prete, un diplomatico, un consigliere, un ministro plenipotenziario, a metà tra von Bismark o Churchill e Cagliostro, per la capacità di dominare scienza, meccanica, tecnica e per il senso dello Stato e del futuro, posto al servizio dei re e del destino del loro reame.
Un predestinato questo Dunstan, fin dalla malattia alla quale riesce a sopravvivere, in un’epoca che non conosceva molti rimedi all’epilessia. È figlio di un nobile e nipote di un arcivescovo. Il padre, molto anziano, lo ha mandato a studiare come novizio nell’abbazia di Glastonbury, col fratellino Wulfric, ma morendo ha lasciato tutti i suoi possedimenti al figlio maggiore di primo letto, lasciandoli senza risorse.
La scuola per i due fratelli è durissima, tanto per la severità manesca dei monaci che per il bullismo dei collegiali nei confronti dei più deboli ed emarginati. Però il giovane imparerà a difendersi, sia pure pagando un pesante prezzo fisico e psicologico. Il più giovane soccomberà, invece.
A salvare Dunstan, uscito ancora una volta miracolosamente indenne da una situazione fatale (un vero e proprio linciaggio), è la generosità di Lady Elflaed, La nipote di re Ethelstan ha intuito le sue innate qualità e lo porta a corte, dove il ragazzo trova il buon zio Athelm, suo tutore di fatto.
Dunstan ritiene di non poter interessare il sovrano del Wessex, nipote di Alfredo il Grande. Sa che Ethelstan ha occhi solo per i guerrieri, ne ammira il coraggio e ha bisogno delle loro braccia armate. Non lo attraggono le arti e la musica, né la santità e la religione. Ancora meno stima la genialità, di cui questo adolescente più maturo della sua età dispone ampiamente, ancora in modo inconsapevole. Però è stato l’arcivescovo Athelm a mettergli la corona sulla testa e questo avrà un ascendente sul destino di Dunstan.
Se si volesse dare a “Il trono di sangue” un sottotitolo lungo, sul modello dei titoletti-sommari dei capitoli delle antiche cronache medievali, si potrebbe scrivere: come fu che Dunstan di Glastonbury riuscì a servire un re ambizioso, in guerra con i regni del Nord e a unificarli servendo altri sei sovrani.
È tutto nelle pagine del romanzo. La maggiore curiosità è per questo religioso-statista, un personaggio vero, storico, come ricorda Conn Iggulden, che ne traccia un profilo in appendice.
L’anno di nascita non è certo, come punto di riferimento è stato preso il 920, nel villaggio di Baltonsborough, a poche miglia da Glastonbury, nel Somerset. Si sa poco della famiglia, certamente di rango elevato, dal momento che contava due vescovi, possedeva una consistente ricchezza ed era introdotta a corte.
Sembrano assodate le straordinarie abilità, che fecero di Dunstan un gigante della storia, un Leonardo di Glastonbury, un Newton del Wessex. Abate del grande monastero, edificatore di Canterbury, venerato come santo da tre chiese (cristiana, anglicana, ortodossa), è stato in odore di sanità ma anche in sospetta combutta col diavolo, a dire dei detrattori, che non mancarono.
Un’ultima curiosità: come si arrivò a chiamare lord i nobili inglesi. Alla nascita di Dunstan, i dignitari nominati dal re erano ealdormen. Qualche decennio dopo divenne comune una contrazione del termine, earloeorl, conte, influenzata dal danese jarl. Da lì a lord il passo non fu lungo.
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