Io ti porterei
- Autore: Nicola Mariuccini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Castelvecchi
- Anno di pubblicazione: 2024
La casa editrice Castelvecchi pubblica Io ti porterei, il nuovo romanzo dello scrittore umbro Nicola Mariuccini.
Un padre e un figlio si apprestano ad un viaggio assai particolare: le ceneri di nonna Liboria, da tutti conosciuta con il suo secondo nome Nilde, verranno portate a Conca Valbruna perché è lì che devono riposare, accanto a quelle del nonno. Il tragitto che nonna Liboria percorrerà sarà fatto con tutti i crismi del caso. Un carro funebre accompagnerà la salma deceduta da decenni ma a cui solo ora spetta il postod ove riposare per sempre.
Troppi punti oscuri per un mistero da viaggio che poteva essere semplicemente lasciato indietro con un affondo dell’acceleratore.
Qui l’autore così si esprime
Le poche pagine che seguono sono scritte per i pochi viaggiatori che vogliano impiegare un po’ del loro prezioso tempo per capire se quella macchina scura stesse andando verso qualcosa che dovrà succedere o non fosse semplicemente un rimbalzo all’indietro verso qualcosa che sia già accaduto o forse che non era stato fatto.
Al volante del carro funebre è proprio il padre della voce narrante: lui stesso avevo chiesto di guidare quel veicolo perché non voleva più ritardi nella sepoltura della madre. Questa insolita coppia di autisti si appresta a viaggiare verso Conca Valbruna e durante il tragitto ai due si uniscono le zie Anna e Marcella, sorelle di papà, insieme alla cognata Bruna. La voce narrante, un giovane uomo, seppur in un’occasione triste, è contento di accompagnare il babbo
a fare questa cosa, a riappropriarsi del proprio amore verso la madre, a ricomporre un giudizio giusto e sereno nei suoi confronti.
Un viaggio assai particolare non solo per come inizia ma anche per le modalità con cui si svolge: il babbo, dalla postazione di guida, “dialoga” con la nonna defunta.
Quando ti trovi di fronte a tuo padre che sembra aver improvvisamente mollato il contatto con la realtà, la sensazione è sgradevole, anche fisicamente.
Il figlio accanto a lui ascolta, poi partecipa a quello strano dialogo e pian piano viene a conoscenza di una vita di cui sapeva solo una piccola parte. Il babbo inizia un colloquio fitto e serrato con la nonna che se n’era andata in un freddo letto all’ospedale di Pergamo a poco più di trentacinque anni, quando lui era ancora bambino.
Liboria, o forse è meglio dire Nilde, era fuggita più volte nella propria vita. La prima volta, raccontano le zie, Nilde si era allontanata dalla casa paterna perché aveva scoperto di non essere la figlia della donna che lei aveva sempre chiamato mamma e di essere stata sottratta alla madre biologica Lola, rea di aver concepito una figlia con un ricco uomo già sposato. Nilde, assai giovane, lascia la casa paterna e va in sposa a un robusto maniscalco, un uomo che non le può garantire il tenore di vita della famiglia di origine ma al quale lei, nel giro di pochi anni, dà tre figli. Purtroppo, dopo un po’ di tempo, l’unione non è più così solida. Mario beve troppo e Nilde accusa un certo disagio. Lei, anche dopo la scelta d’amore, è rimasta la giovane donna profumata ed elegante di un tempo.
A ciò si deve aggiungere l’emergenza storico-sociale di quegli anni, durante i quali si combatte la guerra in Etiopia, periodo in cui alle famiglie il Governo chiede sacrifici economici. Nonostante Mario, con la sua bottega garantisca il pane quotidiano alla famiglia, Nilde accetta il corteggiamento di un musicista. Una sbandata, un colpo di testa che lei, nonostante il perbenismo di quel tempo, vive con fierezza. Poi, però, in famiglia torna il sereno ma tutti sanno e allora in paese si mormora e si fanno le “scampanate”, suoni e frastuoni con cucchiai e mestoli per correggere comportamenti sbagliati. Quel mormorio e quei suoni non si fermano, ma il matrimonio riprende sereno e nascono altri figli. Cinque in tutto. Ecco l’arrivo della Seconda Guerra Mondiale e poi l’incontro con un altro.
Nonna vedeva in quell’uomo solo un veicolo per fuggire, per cambiare città, per cambiare vita e mettere fra lei e le voci malefiche di quel quartiere di periferia degradata e retrograda uno spazio il più ampio possibile.
Non è però l’uomo a portar via Nilde ma la prospettiva di una nuova vita. Il lavoro in risaia è faticoso anche se più umano grazie alle lotte sociali di quegli anni. Nilde non si dà per vinta, lavora e nel poco tempo libero, dopo aver accudito i figli, ogni tanto va a una festa. Non è cambiata; è sempre la giovane e caparbia donna. La piegherà solo il male anche se, lei dice nel suo raccontare, non è morta né di artrite né di tumore ma di “vox populi”, di quelle chiacchiere di paese che l’avevano mandata via.
Una vita breve ma vissuta quella di Nilde, un’esistenza che però lascia l’amaro in bocca ai figli più piccoli come il padre della voce narrante che, nel tragitto, ha la possibilità di aprire l’animo e mostrare un dolore antico. Quel viaggio verso Conca Valbruna non è dei più semplici ma si rivela in qualche modo catartico
Se accetti di guidare un accompagno devi andare all’andatura del funerale, solo così riesci a raccogliere tutti, a sentirteli tutti dietro. È così che si va avanti. È nei viottoli che capisci la vita, che la ripercorri.
Io ti porterei è il romanzo dei ricordi, delle rivisitazioni ma anche un dispiegarsi di eventi storico-sociali di tanta importanza. Nicola Mariuccini, con linguaggio fluente e abilità narrativa, ripercorre strade battute da chi ha vissuto decenni prima ma di cui poco si è detto. Immergersi tra le pagine del romanzo sarà una piacevole e interessante esperienza per i lettori.
Io ti porterei
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