L’aquila della Decima Legione
- Autore: Massimiliano Colombo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
Dodicimila legionari romani, su novanta navi. La costa della sconosciuta Britannia battuta dalle onde. Nemici seminudi col corpo dipinto d’azzurro urlanti sulle alture e sulla spiaggia. C’è da far tremare anche gli uomini più coraggiosi: devono scendere in acqua con le corazze pesanti e affrontare prima il mare in burrasca, poi quegli abitanti selvaggi. Perfino i lettori riescono a provare un brivido di paura nelle righe iniziali del romanzo di Massimiliano Colombo L’aquila della Decima Legione, pubblicato a maggio dalle edizioni Newton Compton (480 pagine, 9.90 euro con copertina rigida, 4.99 l’eBook).
L’attività di romanziere storico del cinquantatreenne lombardo è cominciata nel 2005, sostenuta da una ricerca scrupolosa. Scrivere del passato, spiega, è un lavoro investigativo simile a un’indagine. Bisogna conoscere, approfondire, collegare. Conosce l’adrenalina del combattente. Nel 1988 ha indossato la divisa della Folgore e il basco rosso, completando l’addestramento da assaltatore paracadutista. Conosce a fondo la storia di Roma e del suo esercito, una passione per l’Urbe antica nata dalla lettura in età matura di un testo di Giulio Cesare, il De bello gallico, nel quale il condottiero racconta in modo semplice e allo stesso tempo elegante le conquiste per allargare i confini della repubblica SPQR in Europa. Si spinse fino allo sbarco nell’isola britanna, ancora inesplorata dai Romani, nel 55 a.C..
Nel testo latino si legge di un anonimo vessillifero che Cesare indica come il primo a lanciarsi verso la spiaggia dell’attuale Kent, tenendo ben salda l’aquila della sua X Legio, il simbolo dell’onore dei combattenti di Roma. Nel romanzo di Colombo, trent’anni dopo l’episodio, un ex legionario viaggia a bordo di una nave oneraria verso la Britannia, dove ha combattuto in gioventù. Ricorda e racconta: Decima Legione, prima coorte, prima centuria, la testa dell’ariete. Toccava a quegli uomini la parte più difficile dello sbarco, il momento più delicato all’avvio della conquista.
La fase più difficile è in mare, solo sulla spiaggia potranno mettersi in formazione e marciare compatti contro il nemico, per poter applicare le tecniche apprese in tanti estenuanti addestramenti.
I Britanni sulla spiaggia sono migliaia e sembrano agguerriti. Nel loro aspetto bellicoso non differiscono dai Galli: sono imponenti, con il corpo coperto da una tinta azzurrognola. I legionari destinati al primo impatto riflettono sugli insegnamenti di Emilio, il centurione primipilo: gli avversari hanno spade enormi e scudi piccoli, mentre gli scudi dei Romani sono grandi e le spade corte. Questo avvantaggerà i legionari nel combattimento corpo a corpo. Dovranno avanzare, sotto il lancio di giavellotti e pietre, coprendosi con scudi che proteggono pressoché l’intero corpo. Dovranno poi affrontare coraggiosamente il nemico, sapendo che a stretto contatto le armi lunghe diventano poco maneggevoli. I britanni non potranno colpire di punta, saranno costretti ad alzare il braccio per menare un fendente dall’alto e loro avranno il tempo per affondare il corto gladio nel torace o nel fianco del gigante britanno, non protetto da corazze e con lo scudo che non difende l’intera sagoma. Di fatto è una lezione di tecnica militare legionaria impartita da Massimiliano, per bocca del primipilo Emilio.
Sempre nel De bello gallico, Cesare cita un altro aquilifero - questa volta col nome per intero, Lucio Petrosidio - che aveva salvato dalla cattura l’aquila della XIV Legione, dopo l’imboscata subita ad Atuatuca, a nordest dell’odierna Liegi, costata la perdita di quindici coorti, a causa dell’ostilità tra i due comandanti romani, Sabino e Cotta. I Galli Eburoni non poterono ugualmente festeggiare il successo, perché Cesare accorse “con la velocità di un fulmine” e spazzò via non solo i guerrieri avversari ma l’intera tribù.
Tornando al 55 a.C., Colombo rende Lucio Petrosidio protagonista dello sbarco in Britannia. È lui il portainsegne della Decima, che si getta in mare per primo e approda, dando l’esempio ai compagni, incitati dal centurione a seguirlo, per non lasciare l’aquila nelle mani del nemico. Mentre Lucio vacilla, raggiunto da un Britanno, un fidato compagno del suo contubernium, Valerio, abbatte il nemico con un giavellotto. Insieme agli altri, si gettano contro i nemici.
Il romanzo di Massimiliano Colombo si apre con l’invasione della Britannia e si chiude con la sconfitta di Atuatuca. Con un assalto coraggioso contro il re degli Eburoni Ambiorige, gli ultimi superstiti guidati dal centurione veterano Emilio Rufo guadagnano il tempo per consentire al loro aquilifero di mettere in salvo il simbolo della Legione. Nel De bello, Cesare non fornisce il numero della Legione e l’autore ha voluto indicarla come XIV e sottolineare il gesto di Lucio Petrosidio, che pressato da un gran numero di Galli lanciò l’aquila al di là del vallo.
Circondati dal nemico, gli uomini di Emilio preferiscono uccidersi con la loro spada, consapevoli che gli Eburoni non li avrebbero risparmiati, dopo dolorose torture.
Mentre i giovani barbari saccheggiano il campo di battaglia e raccolgono le teste dei nemici come orribile trofei, una donna scivola tra i caduti, in cerca del suo amato. È Gwynith, una schiava britanna di nobili origini, discendente del re dei Trinovanti. Lucio si era innamorato di lei all’istante, vedendola apparentemente fragile, ma scolpita nel marmo e lei di lui, avendolo notato più gentile degli altri, sebbene pur sempre romano. Anche la relazione tra i due riempie L’aquila della Decima Legione, pubblicato nel 2005, per una casa editrice per esordienti e poi acquisito da un altro importante editore, prima che Newton Compton facesse propri i diritti, rinnovando questa bella edizione.
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