L’attesa
- Autore: Alida Airaghi
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2018
L’attesa (Marco Saya, 2018) di Alida Airaghi è una raccolta di poesie che è viaggio, un susseguirsi intrecciato di rintocchi, rimbombi, lenti stillicidi di ricordi. Quello che l’autrice propone è un quieto tambureggiare di treno su rotaie, le stesse che appaiono in copertina, uno scorrere sinfonico, placido e poi rapido di paesaggi, ricordi, situazioni, come se nulla potesse distogliere il suo sguardo e quello del lettore da immagini cristallizzate nella memoria: non solo ricordi, no, ma sensazioni, nitide eppure soffuse, tirate fuori da un lungo viaggio, che fanno compagnia e accompagnano.
Da Omaggi a L’attesa, la domanda su "come si supera veramente il dolore", vecchia amica, sembra accantonata, anzi, superata, non di slancio, ma con un gesto liquido, uno sfogliare altrove, spogliarsi di quell’unico, straziante interrogativo - interrogando altri autori e poeti - per immergersi nel corso del viaggio, che, straniante cliché, ha questa sua pretesa di quotidianità, nonostante tutto.
Alida Airaghi in effetti regala passaggi e paesaggi improvvisi: dal passato, con visioni di bambinetta appena avvezza alla vita già così addentro faccende da grandi, come la conoscenza della morte (ma sono davvero da adulti o le capiamo tutti già subito?), fino al presente, anch’esso di dolore, schietto ("per sempre zitta la sua voce"), duro, che include il ritrovarsi all’improvviso a guardarsi in faccia, spaccarsi addosso l’idea tremenda che non sempre finiamo quello che abbiamo iniziato, che tutto rimarrà come sospeso, perfino le debolezze di chi ci ha lasciato. Tutto è racchiuso in un paesaggio di dolore tenue, consapevole, che si mischia a una tristezza "sposata".
"Molte cose muoiono insieme a chi muore"
Amen, così sia, ma non ci si rassegna mai e infine la conoscenza del bene o del male, perfino quella, adamitica, sparisce: rimane quella che De André chiamerebbe "un po’ di tenerezza", la sensazione forte che il viaggio dell’autrice attraversi campi, città e visioni che tutti noi, prima o poi, abbiamo avuto l’esperienza di assaggiare, guardare, sperimentare.
E non crediate sia semplice: non è semplice parlarne, non è semplice leggere il dolore, sottile, pervasivo, come la lettera scritta da vivo da qualcuno che poi ci ha lasciato e, nell’andare, ha anche tirato dietro sé tutto il suo corredo di umanità, tutta la sua profondità, le sue debolezze. E come un carezza ancora solletica tristezze antiche come i bambini, in un delicato toccarsi, ricordarsi, riconoscersi ancora una volta. Ancora una volta amarsi e amare l’attesa di altro.
Non è operazione di superficie e forse dunque per qualcuno sarà complesso approcciarsi a L’attesa. Chi invece davvero crede anche nella possibile rinascita da un viaggio di dolore, chi lo sa "che è abbastanza aver aspettato, averlo intravisto" può sfogliare le pagine come se fossero esperienze proprie. L’autrice non se ne avrà a male, nella consapevolezza che alla fine di tutto questo viaggio, che non è finito, l’attesa sia sempre quella dell’amore. E se non può arrivare, se è vana, rimane il segreto tacito, con la vita, con i lettori, perfino con se stessa, di averlo intravisto, "compresi in un pensiero di quasi speranza". Alla fine, la speranza rimane.
L'attesa
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