L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati
- Autore: Dino Buzzati
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2012
Ricorro spesso alla metafora del mare: nuotarci in superficie può risultare piacevole ma è l’abisso che ne rivela il senso autentico. Con i libri capita lo stesso, chi si accontenta della storia forse gode ma, in certi casi, varrebbe la pena immergersi tra le profondità del sotto-testo: è là che si rintraccia la polpa, il succo del discorso.
“Sette piani” e “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati sono rispettivamente il racconto e il romanzo sui quali sono tornato più spesso in vita mia: rimandano ad anse e dirupi, gole profonde, corollari di ontologia minima di cui è stra-ordinario avvedersi di volta in volta. La faccio facile come se fossimo a un quiz per scolaresche: a cosa sottende il “simbolo” della fortezza Bastiani? E la landa deserta nella quale è edificata? Cosa rappresenta la discesa negli inferi - dall’alto in basso, dal settimo al primo piano dell’ospedale - di Giuseppe Corte?
Certo che c’è Kafka tra le righe ad allungare la sua ombra, ma la produzione narrativa di Buzzati si regge comunque molto bene sulle sue gambe: non già per l’arditezza letteraria quanto piuttosto per il sostrato ontologico-metafisico comunque sotteso al senso parabolico delle trame.
L’Angoscia, l’Attesa, l’Ossessione, la Morte, sfilano all’interno della narrativa fantastica buzzatiana come ideali figure di tarocchi, stazioni imprescindibili di uno specifico perennemente in bilico sull’abisso (di senso), attestato sulla dialettica tra fantastico e reale, noto e sconosciuto, nitore e tenebra.
Si intitola, non a caso, “L’attesa e l’ignoto” il volume collettivo che Mauro Germani (agit-prop culturale, scrittore e saggista trasversale a letteratura e filosofia) ha curato per la casa editrice l’Arcolaio. Un’indagine parcellizzata sui temi e le opere dello scrittore bellunese, attraverso le voci critiche di poeti e scrittori contemporanei e un’articolata intervista alla vedova Almerina Antoniazzi che ne restituisce gli aspetti privati.
Una delle note salienti di questo saggio parcellizzato è che evita il già detto, indagando anche sugli aspetti meno esplorati dello scrittore, come quelli legati al giornalismo, per esempio (Buzzati ha lavorato come cronista per Il Corriere della Sera); o alla drammaturgia, alla pittura, e persino alla poesia, in perfetta aderenza e quasi in risposta a una poliedricità autoriale peraltro annunciata dal sottotitolo di copertina (“L’opera multiforme di Dino Buzzati”).
Come bene evidenzia Germani nelle note introduttive al volume:
“Pochi autori – soprattutto italiani – ci hanno lasciato un’eredità artistica come quella di Buzzati, in cui il sentimento del mistero si unisce all’angoscia davanti all’ignoto e all’assurdo che irrompono nella nostra esistenza (…) In Buzzati la parola appare estremamente mobile, metamorfica. Può essere assoluta, ma può anche trasformarsi repentinamente, divenire il suo opposto, la sua ombra beffarda, o addirittura mutarsi in disegno, in figura, in colore. Senza forzature. Con semplicità. Eppure sempre rispondendo ad un rigore superiore, non ostentato, invisibile, leggero, ad un’architettura della forma o ad una partitura segreta che tutto presiede (…) Il lettore sensibile, poi, non può non avvertire il senso e l’importanza dell’inespresso che animano la prosa buzzatiana, anche quando risente della tecnica giornalistica.”
In buona sostanza i romanzi e i racconti di Dino Buzzati (tutti i romanzi e i racconti - anche quelli in apparenza più ancorati al piano del reale, come “Un amore” – e persino certi suoi resoconti di “nera”) ci riconducono faccia a faccia con l’ombra, l’assurdo, il pertubante quotidiano, declinazioni metaforiche di una condizione esistenziale giocoforza precaria, motivi del dramma interiore vissuto dall’uomo di fronte all’imponderabile, al non-previsto, all’inevitabile; della incapacità interiore di accettare, in fondo, la dura realtà della morte.
“Con Buzzati se ne va la voce del silenzio, se ne vanno le fate, le streghe, i maghi, gli gnomi, i presagi, i fantasmi. Se ne va, dalla vita il Mistero. E che ci resta?”
Scrisse così Indro Montanelli alla sua scomparsa. Non sbagliava e non esagerava, nemmeno nella fattispecie.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati
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