L’estraneo
- Autore: Tommaso Giagni
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2012
Autori esordienti, classe anni Ottanta, sono i benvenuti nel panorama ormai stantio delle classifiche dominate da diverse sfumature di colori, da diete e ricette di cucina. Una bella sorpresa quindi il primo romanzo di Tommaso Giagni, che racconta una Roma contemporanea, una metropoli ormai estranea a se stessa, tanto è dilatata nei confini, non solo geografici: una città dai connotati incerti, slabbrati, dove la periferia tradizionale è diventata un continuo di palazzi anonimi che si estendono senza soluzione di continuità verso tutti i punti cardinali, dove abitano o occupano alloggi poveri e squallidi cittadini di ogni provenienza.
“Il Viale curva fortemente a sinistra: una serie di traverse lo ferisce da entrambi i lati , finché laggiù muore e si innalza contro il cielo un blocco di casermoni popolari come cattedrali di una religione sepolta”.
In questo luogo anonimo si rifugia il giovane protagonista, figlio di un portiere del ricco e borghese quartiere Pinciano, che ha fatto il liceo nella più antica e blasonata scuola di Roma, il mitico Visconti, sentendosi un estraneo anche se colto e deciso a frequentare all’Università il corso di Storia dell’Arte. I soldi mancano e, malgrado i lavoretti precari, decide di lasciare la casa/portineria paterna per pagare una stanza in affitto da Andrea, un borgataro tutto palestra, creme e look seduttivo, che, presto si scopre, guadagna soldi facendo il gigolo per comprarsi una Ferrari Scaglietti...
Il ventenne protagonista, lasciato da Alba, fa nuovi incontri nell’ambiente in cui tenta di vivere: oltre ad Andrea, ecco Sandro, Eros, Claudio e finalmente la bella Marianna, anche lei borghese in fuga dalla sua famiglia e dalla sua classe, con cui intesse una relazione che presto si rivela asimmetrica: infatti la ragazza ha deciso di chiudere completamente con il suo ambito di provenienza, mentre lui non ce la fa:
“Io non ho abbandonato la Roma delle Rovine, come Marianna; è stata la Roma delle Rovine a escludermi, e io ho dovuto rinunciare a entrarci. Non voglio perdere le mie due mezze anime. Entrambe sono parte di me, combinate fanno me; d’altronde , sono anche i miei unici appigli per sperare di essere accettato in questo o quel mondo.”
I vari capitoli del libro riportano epigrafi di Walter Siti, Paolo Volponi, Pier Paolo Pasolini, Fermando Pessoa, mentre le numerose citazioni di Burri, Sironi, De Chirico, Boccioni, Hopper, Chagall e Rodin fanno da contraltare al dialetto becero e sboccato, alle frasi scurrili, ai gesti violenti con cui tutti i comprimari di questa storia di periferia estrema dialogano: non è il dialetto del Belli, né il linguaggio letterario di Pasolini, ma un accozzaglia di suoni, grugniti, sberleffi che Giagni riesce con efficacia a riprodurre sulla pagina per dar vita a personaggi di uno squallore estremo. La sala giochi, lo spogliatoio della palestra, il solarium o il centro commerciale Parco Leonardo diventano i set in cui si svolge la vicenda di questi poveri ma brutti.
Bellissima la descrizione di un rito che sembra arcaico, ma che invece vive nella contemporaneità: i ragazzi diciottenni del Quartiere devono bruciare pubblicamente, un sabato pomeriggio, i tre capi d’abbigliamento comprati quella mattina “a Roma” e a lungo desiderati. Un cerimoniere presiede al rito catartico con grande solennità. Ecco il giovane Ruggero, con la tanica di benzina in mano, che, dopo aver esibito lo scontrino che testimonia l’acquisto, consegna alle fiamme piangendo un paio di scarpe argentate, un gilet nero a disegni e un costume viola della Sundek (valore complessivo vicino ai 500 euro): un sacrificio al dio consumismo, un rito propiziatorio pagano, la consacrazione dei maggiorenni del Quartiere, un insensato rito di iniziazione.
Tommaso Giagni si esprime nel romanzo con una lingua sperimentale e molto originale. Qualche esempio può essere colto nel testo: (“Pascoli alla nostra sinistra erbeggiano e campanacciano”, “Un cocciarsi di vetraglie”, “m’introgolo di fantasie sulle sfumature di verde che la tinteggeranno e sulla densità del liquame che ci scorrerà a bigonce”, “eco di parole ciottolanti”. Un italiano antiretorico e un po’ barocco, che si alterna alle formule più classiche del “romanaccio” dei coatti, fascisti violenti e privi di ogni forma di conoscenza, che non sia quella delle automobili o degli attrezzi da palestra, più simile a quello riprodotto dai tanti film commerciali ambientati nel Bronx romano... “Piacere, so’ de destra!” è una delle formule di presentazione più emblematiche del “milieu” nel quale il protagonista tenta di entrare. Il finale del romanzo non è affatto scontato, ma è la giusta conclusione di una storia estrema, e, temo, più realistica di quanto la sua qualità letteraria non voglia mostrare.
L'estraneo
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