La meta e la via
- Autore: Franz Kafka
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: BUR
- Anno di pubblicazione: 2014
L’idea che abbiamo di Franz Kafka pecca forse di unilateralità. Il grande praghese è visto come il cantore magistrale dell’angoscia esistenziale, della sudditanza assurda, tragica e insuperabile del singolo uomo a oscuri poteri assoluti, quasi sempre nascosti e inavvicinabili. È vero che i suoi capolavori affermano quanto detto: l’agrimensore de Il castello non potrà mai accedervi; ne Il processo l’accusato è colpevole senza sapere di che cosa lo si accusi, basta il dito puntato contro di lui per essere considerato reo, basta esistere; vero che ne La metamorfosi l’uomo qualunque un brutto giorno si scopre degradato a insetto e morirà farfugliando dolorosamente. Ma c’è da chiedersi: in Kafka è davvero morta la speranza in un riscatto, nella redenzione del nostro "status" di erranti e fuorusciti dall’Eden? Possiamo coltivare un’utopia? Se sì, quale? Esiste nello scrittore una "pars construens" oltre che una "pars destruens"?
È questo il tema portante dei suoi racconti scelti nel volume intitolato in modo emblematico La meta e la via (Bur edizioni nella collana "Biblioteca dello Spirito Cristiano", pp. 223, 2014), curato da Mimmo Stolfi, che porta avanti l’iniziativa culturale letteraria voluta da don Luigi Giussani. Lo spirito cristiano, spiega il curatore, va inteso non soltanto come "ragionevolezza della fede" ma anche come
"passione per l’esistenza e la sua adesione al dramma della vita con un realismo e una profondità altrimenti impossibili."
Indubbiamente Kafla è tutto ciò! Senza ammantarsi di falso buonismo e ottimismo superficiale, lo dichiara in un racconto, non incluso in questa bella antologia:
"La sofferenza è l’elemento positivo di questo mondo, è anzi l’unico legame fra questo mondo e il positivo." (Preparativi di nozze in campagna).”
Come dire che il bene si trova dentro il male di vivere. Kafka non è masochista. Conosce una meta che libera ma non indica una strada specifica per raggiungerla, rispettoso della libertà che, parafrasando Dante e il suo Catone, l’essere umano "va cercando". Similmente egli scrive nella Lettera al padre: "i Sentieri si costruiscono viaggiando".
Lo stesso assunto si ritrova nel racconto breve Lascia perdere: il protagonista cerca la via verso la stazione (ottima metafora) e chiede informazioni a un vigile. Tale il dialogo conclusivo:
"«Da me vuoi sapere la strada?». «Sì» dissi io «perché da solo non riesco a trovarla». «Lascia perdere, lascia perdere!» disse lui, e si volse di scatto da un’altra parte, come fanno le persone che vogliano star sole con la loro risata.”
Non si tratta di una risata sardonica, piuttosto di un riso pirandelliano colmo di “pietas”.
Dunque esiste una meta senza strada. Eppure una strada va cercata, per non finire dritti dritti in bocca al dittatore di turno, masticati come pasto. Un altro apologo, da brividi, Piccola favola, racconta la fine miserevole del topo che non riesce a cambiare percorso:
"Questi lunghi muri sfrecciano così in fretta l’un verso l’altro che io mi trovo già nell’ultima stanza, e lì all’angolo c’è la trappola in cui finirò.» «Non hai che da mutare la direzione della corsa!» disse il gatto, e se lo mangiò.”
La narrazione kafkiana, sempre visionaria e surreale, tratta della trasmutazione necessaria: osare, passare da uno stato di necessità ad uno di libertà. Quale libertà? Esiste? Come percepirla? E quale sarà l’altro percorso? Egli risponde affermativamente in poche righe, sono il punto focale di tutto il libro: la liberazione dalla solitudine sta nel fluire, nell’ abbandono al ritmo dei cavalli che trainano le carrozze per via, contemplati da una finestra:
"Saranno tuttavia i cavalli, laggiù, a trascinarselo via con sé, nel loro seguito di vetture e frastuono, e in tal modo a trascinarlo alla fine nell’armonia e nell’unità con la specie umana.”
Lampante appare l’affinità con lo sguardo contemplante di Pessoa dalla finestra spalancata sul mondo ne Il libro dell’inquietudine. Il legame umano è la "social catena" di Leopardi ne La ginestra. Per Leopardi si tratta però di una esortazione all’unione fraterna contro la natura "matrigna"; per il nostro la natura espressa dal vitalismo dei cavalli contiene in sé una dolcezza divina, l’armonia prestabilita. Kafka qui diventa addirittura stoico, nella concezione di simpatia universale.
Ma… esiste la possibilità, e lo sappiamo bene, che l’uomo rompa l’armonia, contravvenendo al comandamento della carità. Kafka non sarebbe Kafka se non mostrasse la natura contraddittoria della realtà. Ne Il cavaliere del secchio accade appunto questo, il male sporca il mondo: un povero sta morendo di freddo, non ha il denaro per acquistare neppure un pala di carbone; la carbonaia glielo nega, nonostante gli affari vadano a gonfie vele per lei e il carbonaio suo consorte, più umano ma succube di lei, donna virago senza cuore. Più si ha più si vorrebbe! Il povero vola in cielo con il suo secchio di carbone vuoto, per non tornare mai più. Il non ritorno è una sentenza di condanna assoluta. Il cristianesimo per lo scrittore non è un dogma o l’appartenenza a una chiesa, ma stile di vita.
I racconti sono tratti da Contemplazione (1913), Un medico di campagna (1919), Un digiunatore (1924), Racconti sparsi e postumi. Il lungo racconto incompiuto Le indagini di un cane è un inno alla libertà; termina con le seguenti parole:
"È stato l’istinto, forse, [...] ad avermi fatto stimare la libertà al di sopra di qualsiasi altra cosa. La libertà! Certo, la libertà possibile oggi è una pianta assai mingherlina. Ma è pur sempre libertà, pur sempre un tesoro che si possiede."
Un tesoro inalienabile. Sta a noi preservarlo e farlo crescere. Sono parole di luce che dissipano qualunque incubo e ossessione.
La meta e la via. Racconti scelti
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