Aforismi di Zürau
- Autore: Franz Kafka
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2016
Nel 1917, Franz Kafka dopo l’ennesimo sbocco di sangue capì con “perversa felicità” che la sua vita era segnata. Era finita l’ansia di sposare Felice, aveva chiuso l’idea del matrimonio, aveva chiuso con il suo lavoro noioso e burocratico, che allo scrittore piaceva a tratti, perché almeno usciva da sé stesso e chiudeva con la famiglia, come aveva fatto con il matrimonio.
Era libero, in questo piccolo paese chiamato Zürau, dove viveva la sorella Ottla. E lo scrive nel libro dal titolo Aforismi di Zürau (Adelphi, 2016, curatela e traduzione di Roberto Calasso).
Aveva chiuso i conti in sospeso, niente matrimonio, né lavoro, né famiglia. Non aveva la forza per affrontare tutte e tre le cose, sentiva che gli restava poco da vivere, il peso di stare al mondo lo stava abbandonando. Non che avesse sempre tempo, per pensare alla sua condizione di "alieno a sé stesso”. La casa di Ottla era piena di topi, che Kafka trovava orrendi col il loro suono prodotto dai denti, e iniziò a non dormire
Lo scrisse al suo grande amico Max Brod, soprattutto il bisogno di trovare dei gatti che facessero il loro lavoro, ma Brod era troppo cittadino, per capire quanto quel periodo fosse felice per Franz, e dunque lo voleva a Praga.
Roberto Calasso, nella sua postfazione, scrive che Brod possedeva quella psicologia spicciola che sarebbe diventata indispensabile nelle riviste femminili, ma aveva anche il coraggio di chiedere all’amico perché aveva così tanta paura dell’amore. E delle questioni metafisiche.
Ma Kafka non ha certo paura del suo caro amico Brod, tanto da scrivergli che c’è di più bello che credere al decisamente divino e non aspirare a raggiungerlo. Calasso si chiede perché proprio a Zürau, un paese piccolo e contadino, scrivere centonove aforismi che si salvarono per miracolo.
E riecheggia sempre il concetto della distanza. Metterci tempo e passione nello scrivere, ma non fare niente per salvare i propri scritti, anzi avendo il desiderio di distruggerli.
Chi scrive prende a caso cinque aforismi che non sono più importanti degli altri:
- Il fatto che non ci sia altro che un mondo spirituale ci toglie la speranza e ci dà la certezza.
- La nostra arte è un essere abbagliati dalla verità: vera è la luce sul volto che arretra con una smorfia, nient’altro.
- Corre dietro ai fatti, come un pattinatore principiante, che oltre tutto si esercita dove è proibito.
- Che cosa c’è di più allegro della fede in un dio domestico!
- In teoria vi è una perfetta possibilità di felicità: credere all’indistruttibile in noi e non aspirare a raggiungerlo.
Kafka in nessuno scritto o lettera a Max Brod dice di voler pubblicare questi aforismi che restano come foglietti sparsi e Roberto Calasso dichiara che leggerli tutti insieme dà un senso di desolazione dell’esistente. Kafka riesce a comunicare solo con Kafka come un Giano bifronte, anche se si era portato tra i libri da rileggere, Kierkegaard e Pascal.
La vita di Kafka è una scommessa mai vinta, non solo perché è inerte e impaziente, ma perché i fatti che dovrebbero darci la patente da adulti, a lui sembrano assurdi.
Lo scrittore rigetta il matrimonio e sappiamo quanti tentennamenti nelle lettere alle fidanzate, trova il lavoro una necessità sciocca che serve a mangiare del tempo durante l’orario lavorativo fino alla noia, quindi sostanzialmente parla di impiegati come lui e la famiglia è un coacervo di frustrazioni e di ragioni non accettate, ma d’altronde con La lettera al padre, aveva già detto cose importanti sull’istituto familiare.
Ma non potrebbe mai vivere a Zürau, dove si fermò sei mesi e più dalla sorella Ottla, perché la sua essenza era quella del cittadino e poi nemmeno quella.
La verità è che la vita la sopportava perché la manteneva distante da sé stesso.
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